RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

Bello è il cane Argos. Brevi considerazioni storiche ed e(ste)tiche sulla musica degli ultimi decenni

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Bello è il cane Argos.
Brevi considerazioni storiche ed e(ste)tiche sulla musica degli ultimi decenni

di Renzo Cresti

 

Lo Strutturalismo degli anni Quaranta-Settanta del secolo scorso è l’ultima propaggine del Moderno, ‘ultima’ nel senso di strada maestra, non certo come fase finale, in quanto perdura ancor oggi, intrecciandosi con altre e più forti tendenze. Varie furono le tipologie strutturalistiche, da quelle antropologiche che hanno il loro padre putativo in Lévi-Strauss, a quelle generative, trasformazionali e altro (Deliége, Eco, Lotman, Mukarovskij, Nattiez…). La priorità data all’analisi, in prospettiva funzionale, semiologia e sociologica, è in genere la costante degli studiosi che hanno tentato la comparazione musica=lingua, guidata da teorie del segno che sono diventate sempre più problematiche. Questo ambito di studi fu determinante per lo Strutturalismo musicale, il quale ha avuto sostanzialmente 4 fasi: la prima dal 1946, istituzione dei corsi estivi a Darmstadt, al 1953, quando iniziarono le esperienze personalizzate; la seconda dal 1954 al 1958, anno del seminario di Cage ai Ferienkurse; la terza fino al 1967 anno in cui Stockhausen scrisse Hymnen, dando il via a un processo centrifugo che abbandona la purezza stilistica e l’omogeneità di scrittura weberniana; infine la lunga e meno pregnante quarta fase ch’è quella che perdura fino a oggi e che non è più rappresentativa dello stile strutturalista in senso pieno.

I musicisti che a Darmstadt proclamavano “l’anno zero” erano il prodotto più tipico della vecchia storia (della musica) europea. Alcune date segnano il percorso: nel 1946 iniziò il primo festival che presenta tutta quella musica che fu considerata “degenerata” dal nazismo. Grazie all’intraprendente assessore comunale Steinecke e alla presenza di Messiaen e Leibowitz, Darmstadt divenne una vera e propria “scuola”, instaurando un modello che si è perpetuato fino a oggi, anche se perdendo la forza iniziale. Il richiamo fu forte, tanto che molti giovani musicisti di allora erano presenti: Boulez, Stockhausen, Pousseur, Ligeti, Xenakis (per non dire di Cage che rappresentava l’altra faccia della medaglia), gli italiani Maderna, Nono (per un momento anche Berio) e successivamente Togni, Clementi, Donatoni. Il 1948 fu l’anno della prima opera che utilizza il serialismo integrale, Three compositions di Milton Babbitt, brano che precede di poco il Mode de valeurs e d’intensités di Messiaen (composto a Darmstadt nel 1949). Nel 1952 venne dato alle stampe l’articolo di Boulez Schoenberg è morto, al quale seguì, quattro anni dopo, quello di Pousseur Da Schoenberg a Webern: questi due testi codificarono la preminenza del pensiero e della prassi di Webern rispetto a quella (del primo) Schoenberg. Gli anni Cinquanta, in nome di una concezione evoluzionistica del linguaggio, e con l’attrazione verso la purezza dello stile, svelano l’aspetto più aridamente dottrinario dell’asse Darmstadt-Parigi, con la clarté francese riaffermante, in chiave di formalismo positivista, il concetto sferico di opera.

Pierre Boulez, Bruno Maderna, Karleinz Stockhausen a Darmstadt nel 1955

Nel 1953, anno dei festeggiamenti per il settantesimo anniversario della nascita di Webern, i lavori di Boulez, Stockhausen e Nono iniziarono a prendere delle fisionomie particolari e sempre più personali. Cominciò un processo centrifugo che si distacca dalla purezza cristallina del post-webernismo. Stockhausen fu il primo a intraprendere vie nuove: tecnica dei gruppi, stereofonia, musica elettronica e altre tecniche sperimentali. Nono pose il problema di fornire un valore semantico alle asettiche strutture, abbinandole a testi e a immagini realistiche. In ogni caso l’asse centrale su cui ruotò tutto il decennio è quella che vede la tecnica e la tecnologia come fonte d’ispirazione: la cibernetica e la teoria dell’informazione vengono insegnate da Mayer-Eppler al giovane Stockhausen che se ne ricorderà quando metterà a punto i grappoli di suoni statisticamente variabili in Gesang der Junglinge. Il compositore americano, di origine russa, Joseph Schillinger, nel suo System of Musical Composition del 1946, utilizzò sistemi matematici; la serie di Fibonacci venne adoperata da Nono ne Il canto sospeso (1956); inoltre il calcolo delle probabilità e la nozione di massa furono usate da Xenakis, per esempio in Pithoprakta del 1956: questi sono solo alcuni esempi eclatanti di ciò che è il furore tecnologico e scientifico di stampo franco-tedesco, che si placa nei compositori italiani presenti a Darmstadt, mentre viene rifiutato in toto da quelli che rimangono all’interno del tradizionale modo d’intendere e di produrre l’opera, dai post-veristi ai neo-classici: da questi compositori l’abbinamento fra scienza e umanesimo è visto nell’ottica dell’espressività melodica ed è il secondo termine a prevalere sul primo, anche con il ricorso alla musica applicata (il teatro di Chailly, o quello di Menotti per esempio).

La pretesa formalistica che l’opera non esprime alcunché al di fuori della propria struttura, la tautologia che l’opera è l’opera non vale, in quanto A non è solo A, ma è anche più di A, ossia nel predicato viene detto di più di quanto viene espresso nel soggetto. Si deve considerare che il valore conoscitivo è sempre maggiore della conoscenza, è un valore che sa più di quanto pensi di sapere. Il pensiero artistico è un filosofare oltre, un conoscere ulteriore, in quanto l’arte è un segno stra-ordinario che rinvia a una pluralità di dimensioni che creano un rapporto arte/mondo del tutto particolare, è una sorta di (f)atto che assomiglia a quello rituale della religio (nel suo significato originario di “legare insieme”, ossia di rapportare l’uomo a ciò che oltrepassa il suo esserci). Il musicista compie un’esperienza che lo trascende e lo responsabilizza, il suo operare avviene in un tempo/spazio prossimo a quello mistico e il suo è un gesto d’empietà che redime dalla quotidianità. Misticismo ha parentela con mistero (dal greco mustérion), potremmo dunque dire che la musica ci porta nella prossimità di quel mistero che ciascuno di noi è per se stesso, mistero linguisticamente impraticabile.

Karlheinz Stockhausen

I grandi temi sono stati spesso sopraffatti dall’esuberanza del metodo e della tecnica vittoriosa che hanno ridotto lo spazio umano: «l’uomo è così chiamato perché nato dalla terra» (Quintiliano, riferendosi al latino humum). La musica delle avanguardie e neo-tali non ha mai avuto pubblico, perché sdegnosamente ha rifiutato di affrontare l’uomo nella sua nudità. L’opera è frigida se non è fecondata dall’experire, se non si apre alla trascendenza del proprio testo, di un testo che sappia essere rivelativo, che sappia co-esistere, col-loquiare, co-operare.

Nell’apologia del significante si perde il contatto con l’altro, la possibilità di accoglierlo, di recepirlo-per-me. Heidegger, indagando sull’origine dell’opera d’arte, giunge al concetto di opera come origine, inaugurante un mondo nuovo, non solo come segno o come strumento di comunicazione, ma come scoperta delle radici. L’apologia della forma disattende anche al vero senso del termine greco logos, che non significa solo pensiero, ragione, calcolo, ma anche discorso, rapporto. Allora il logos, la parola con cui ci esprimiamo, è innanzi tutto dia-logos, vale a dire un pensiero attraverso. Attraverso il suono.

Lo Strutturalismo ha prodotto un’opera dicente il dire, l’aleatorietà – l’altra faccia della medaglia – ha negato il dire, ma l’opera d’arte è ‘semplicemente’ un dire argomentato agli uomini, un ponte che viene gettato per comunicare. Attenzione: comunicare significa entrare in comunità, nella comunità degli ascoltatori, è differente dall’esprimersi che ha un significato individuale. Molti compositori si esprimono – ammesso che abbiamo cose da dire – ovvero dicono la loro ma non comunicano, non hanno un vero auditorio, il quale è spesso formato solo da poche persone, addetti ai lavori, amici e parenti. Questi compositori sono i responsabili del distacco che, durante la seconda parte del Novecento, si è perpetuato fra opera e pubblico. I compositori costruttivisti di oggi non hanno metabolizzato il cambiamento epocale ch’è avvenuto fra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta del secolo scorso, d’altra parte la velocità della storicizzazione dei materiali mette in difficoltà chi non ha mente prensile e pronta.

Luigi Nono

Secondo la tradizione occidentale è il concetto di forma che collega le arti alla società. Ogni struttura rimanda a un’organizzazione della mente, è un meccanismo, congegnato similmente ad altri, dell’organizzazione sociale. Nelle arti la struttura è dunque il complesso degli elementi, razionalmente analizzati e com-posti seguendo il principio di una costruzione logica, che per analogia rinvia al principio di realtà. Su questa configurazione mentale, ancora prima che fattiva, la storia (delle arti) ha costruito un mastodontico edificio culturale auto-referenziale, sul quale il metodo e la tecnica hanno un predominio pressoché assoluto, una strategia tecnica che, sempre più dall’epoca della prima rivoluzione industriale, è al servizio del mercato, una strategia hard che poi, almeno nelle arti più consapevoli, diventa soft, riequilibrando quelle che, secondo Wolfflin, sono le coppie polari di razionalità-istinto, superficie-profondità, esplosione-implosione, chiuso-aperto, coerenza (principio di non contraddizione)-disordine (perturbazioni aleatorie, improvvisative etc.). Sull’equilibrio di queste coppie complementari si gioca anche il come le arti possono stare unite, spesso l’una si sposta più su un polo per dar agio all’altra di esprimersi al massimo, in un gioco amorevole delle coppie.

La sintesi fra segno e logos è idealismo sommo. Nella ricerca di un’Unità superiore il significato diviene idea, ossia dover-essere. La crisi della struttura logocentrica si consuma piano piano, da Wagner al post webernismo. Lo Strutturalismo crea una costruzione categoriale di un linguaggio dei linguaggi che si fa mondo, mentre in Webern l’universalità totalizzante era proibita dalla continua presenza/coscienza del silenzio, da tutto ciò che non si potrà mai dire. La rarefazione del tessuto sonoro e la disgregazione della serie in suoni-timbro approdavano a immagini ancestrali, in cui la composizione ovvero il sospiro sonoro si mostrava come memoria, poiché dato è solo il linguaggio che abbiamo già udito. Il linguaggio si fa autentico grazie al silenzio che lo circonda, il misticismo di Webern denota la tragedia dell’omogeneità e della coerenza, ponendo il silenzio dentro al suono. Ogni proposizione è colta nel punto in cui cessa di dire.

Al tempo musicale/interiore della musica di Webern viene a mancare l’eterno svolgersi (così caro alla musica tedesca) e acquista una dimensione accidentale vicina all’attimo, ma la dimensione dell’attimo è, paradossalmente, quella più vicina all’eternità, immaginabile solo come un istante protratto all’infinito, nell’istante s’incontrano il tempo e l’eterno. Autentico è solo quel linguaggio formalizzato che riconosce i limiti del proprio formalismo. Per gli strutturalisti si è liberi nella norma più severa, secondo la rigorosa tradizione ascetica, il compositore, come l’eremita, si crea un mondo a parte, autosufficiente, in cui il potere su ciò che viene formalizzato è assoluto. I limiti del linguaggio sono anche i limiti del mondo. (fine prima parte)

 Renzo Cresti

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Renzo Cresti è docente di Storia della musica presso il Conservatorio di Lucca (dove è stato anche direttore e dove tiene un corso di Storia del jazz. Esperto della musica del Novecento ha curato l’imponente Enciclopedia italiana dei compositori contemporanei (3 volumi e 10 compact-disc). E’ autore di numerose pubblicazioni, tra cui: Autoanalisi dei Compositori Italiani Contemporanei (Napoli, 2000); Verso il 2000 (Pisa, 1990) – 100 schede sui compositori italiani; L’arte innocente, con Cdrom (Milano, 2004); Firenze e la musica italiana del secondo Novecento (Premio Firenze 2005); inoltre, è stato Direttore della Colanna I linguaggi della musica contemporanea (Milano, 1990-2000, per la quale sono stati pubblicati 14 volumi); dal 2009 al 2012 ha diretto il Progetto musica per l’editore Del Bucchia (sono usciti 7 volumi); infine, ha scritto una lunga serie di monografie sui grandi compositori italiani (molti autori gli hanno dedicato composizioni e il suo archivio sulla musica contemporanea è fra i più importanti in Italia: libri su Donatoni, Clementi, Margola, Chailly, Castiglioni, Gaslini, Giani Luporini e altri, saggi su Nono, Berio, Bussotti e altri. Nel 2012 è uscito “Richard Wagner, la poetica del puro umano”, (LIM Lucca), tradotto in lingua inglese.