RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

GIORGIO BARBAROTTA, L’ARCIPELAGO, di Giovanni Di Vincenzo

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Giorgio Barbarotta è uscito dal gruppo, e col senno di poi ha fatto bene. Loro erano (anzi, sono) i Quarto profilo – una piccola garanzia, nella Treviso dei tardi anni Novanta – eppure Giorgio “balla da solo” dall’ormai lontano 2003, e oggi – sei incisioni in studio all’attivo licenziate, centinaia di concerti macinati su palchi di ogni ordine e grado, persino un paio di apprezzate pubblicazioni letterarie, – è tra le più vivaci risorse della scena musicale nostrana. Sono dodici, le isole che strutturano questa sua ultima fatica discografica che è “L’ arcipelago”, e il panorama che vi si ammira è piuttosto vasto.

Spalleggiato dai fedelissimi Angelo Michieletto (chitarre e tastiere), Stefano Andreatta (basso) e Nicola “Accio” Ghedin (batteria, percussioni), Barbarotta veleggia con la consumata disinvoltura di un veterano alle latitudini che più gli sono congeniali: il folk, il blues, la west coast e diverse altre reminiscenze angloamericane, mitigate da un’attitudine sempre molto comunicativa e ri-declinate nei termini di un incessante confronto con la grande canzone d’autore italiana. Tra queste sonorità morbide, orientate ad un pop cantautorale ricercato ma sempre orecchiabile, s’intuisce la sapienza artigiana di un autore che – con paziente umiltà, inossidabile perseveranza e proverbiale sincerità – ha saputo affinare nel corso degli anni una propria identità, assecondando la spinta ad un’evoluzione naturale, pilotata da un’autentica necessità e sempre piuttosto riluttante alle seduzioni del mercato.

L’arcipelago, allora. Che come ogni lavoro di Giorgio (penso a quel labirinto che bisogna faticosamente sconfiggere per espugnare un ‘centro’) è espressione allegorica che compendia una suggestione esistenziale: qui quella di un individuo che ribadisce la propria singolarità irriducibile all’omologazione, ma senza scivolare nel nichilismo, nella misantropia, nel disincanto; e che afferma con vigore, anzi, la necessità nutriente di un legame, il bisogno di difendersi ma senza barricarsi. “Scavala la tua piccola trincea, ma non dimenticare il delirio che sta fuori”, suggerisce Barbarotta ne I capricci del destino e sono parole-manifesto.

Apre le danze, senza menare il can per l’aia, In un mondo migliore: l’integrità, la coerenza – di più: la capacità di perseguire i propri traguardi – bisogna difenderle con i denti, dibattendosi tra le mille insidie di un quotidiano lastricato di compromessi, tentazioni, ambiguità. Nelle tue mani, a seguire e – non a caso – primo singolo estratto, offre la consolazione degli affetti, così come la successiva Un’oncia di felicità. Un’indovinata doppietta (semi)acustica e il gusto della leggerezza, dove trionfa l’anelito a trascendere la velenosa mediocrità della cronaca per celebrare la purezza poetica (e a suo modo politica) del vissuto più privato. Poi però il tono incupisce e il passo rallenta ne I capricci del destino e Le anime restano in bilico, forse i due brani più intensi del programma, due dense ballate elettroacustiche appannaggio esclusivo di un’introspezione autocritica che non disdegna una malinconia venata di rimpianto. Tra l’una e l’altra, Giorgio ravviva con numeri più sbarazzini (l’andamento bandistico de La chimica del corpo, il blues scanzonato de Il mio mecenate), ma l’epilogo è tutto in crescendo: In mezzo ci sei tu, un’altra ballata sull’impossibilità a farsi isola, con un bellissimo e straniante solo di flauto traverso che impreziosisce in coda; il monito ambientalista Quaranta gradi Celsius, con la “cappa padana” artigliata da un “sole malato e tossico”; e infine, i due brani che circoscrivono idealmente un immaginario poetico tra le due complementari polarità che sovrintendono tutto il lavoro, il privato e il pubblico: Quei piccolissimi gesti, un’altra aggraziata ballata acustica di cui il titolo dice tutto, e Cinica è la sera, dove la voce di Giorgio – quasi un serrato recitativo d’intonazione gaberiana – si accende di indignazione e sciorina una accorata invettiva sull’atarassia etica e spirituale dei nostri tempi confusi.

Giovanni Di Vincenzo
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Giorgio Barbarotta – Note biografiche

Giorgio Barbarotta, cantautore indipendente classe ’72, ha attraversato la musica del nordest dal rock italiano degli anni novanta in poi, sperimentando, ricercando sonorità diverse, attingendo a piene mani dalla borsa della creazione musicale. Intensa da sempre l’attività live con oltre 600 date all’attivo, tra cui tour in Italia e all’estero (Cina, Balcani, Austria). Ha pubblicato a suo nome negli ultimi 12 anni 6 album di canzoni inedite prodotti col marchio GB Produzioni: “Schegge (di vita propria)” 2005, “In centro al labirinto” 2008, “Verso est” 2009, “Snodo” 2011, “Un fedele ritratto” 2014, “L’arcipelago” 2016. È autore di 2 libri di poesie e racconti: “Tra le pieghe del giorno” (Ed. Vianello) 2007 e “Era Venere” (Ed. Happy Leader) 2009, oltre ad essere stato curatore editoriale di numerosi volumi d’arte e fotografia. Molti i videoclip tratti dalle sue canzoni e le musiche da documentario tratte dai suoi lavori. Ha prodotto e collaborato con numerosi artisti. Diversi i riconoscimenti ricevuti in ambito musicale e letterario a livello nazionale e le compilation.
Info e approfondimenti al sito www.giorgiobarbarotta.it

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