RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

La polivocità del segno. Una nota sul lavoro di Sara Campesan, di Riccardo Caldura

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Frequentavo all’inizio degli anni ’80 insieme ad altri amici, che avevano una qualche vena poetica e il sottoscritto pure una qualche pretesa nel mondo delle immagini, lo spazio di via Mazzini 5, a Mestre. Era la sede del sodalizio Verifica 8+1. Sara Campesan di quello spazio, insieme a Sofia Gobbo (è quest’ultima la +1 aggregata ad un ottetto artistico), era l’animatrice, precisa, seria, osservazioni puntuali e uno sguardo fermo. Era un luogo, l’unico con quelle caratteristiche in tutta la terraferma, dove si potevano regolarmente visitare delle mostre sempre interessanti. Alle pareti del piccolo ufficio, opere dei soci fondatori e di altri artisti di rilievo, una sorta di collezione permanente. Vi era sempre qualcosa da vedere, o qualcuno da incontrare in via Mazzini. Vorrei partire dall’idea di lavoro in gruppo in relazione al percorso dell’ artista recentemente scomparsa, dopo una vita di grande operosità.

Quel sodalizio mestrino, durato trent’anni, non era il primo di cui Sara Campesan era stata componente o animatrice. Si potrebbe dire che la sua carriera artistica si è intrecciata costantemente con una dimensione sovraindividuale della ricerca artistica che la portava in modo naturale verso il confrontarsi e il relazionarsi non occasionale con altri artisti. Nei primi anni Sessanta con le mostre negli spazi della Galleria Numero (sedi a Milano, Roma, poi Venezia) gestita da Fiamma Vigo, il lavoro della Campesan è in sintonia con il clima artistico che porterà alla nascita del sodalizio “Dialettica delle tendenze”, in grado di intercettare una fase di transizione dove gli esiti, relativamente maturi a livello internazionale (Julio Le Parc vince nel 1966 il primo premio per la pittura), quanto a livello nazionale-locale (il gruppo N a Padova), dell’arte astratto-geometrica, cinetica e programmata fanno da contraltare all’informale e alla pop-art. Fra gli artisti di “Dialettica delle tendenze”, pur nella relativa flessibilità della composizione del gruppo – che non si mantiene omogeneo, per rispettare le singole poetiche, nemmeno nel ristretto arco di anni che va dal 1965, collettiva alla Galleria Numero, al 1967, mostra negli spazi della Bevilacqua La Masa – si può già intravedere in nuce il costituirsi di quel nucleo che si ritroverà un decennio più tardi, nel 1978, per dare vita a Verifica 8+1 (oltre alla Campesan, in “Dialettica delle tendenze”, vi erano Franco Costalonga e Nino Ovan).

Sara Campesan al lavoro, 1973

La Campesan parteciperà anche ad altre situazioni collettive i cui elementi si ritroveranno comunque nelle attività di Verifica 8+1. Nel 1970 l’artista opera fra gli artisti del Centro Sincron di Brescia, sotto il coordinamento di Bruno Munari. L’incontro fra lui e la Campesan risale al 1962, ed è un incontro di grande rilevanza. La Campesan prenderà parte alla realizzazione di multipli, in una serie di 250 esemplari, fra cui il suo Sincron 250, una soluzione tridimensionale i cui elementi formali già si erano intravisti nei lavori di qualche anno prima. Il concetto di multiplo, indubbio influsso di Munari, sposta il senso dell’operare artistico verso nuove forme d’impegno e di comunicazione visiva, verso una ricerca più a carattere progettuale, dunque serializzabile, e verso un pubblico potenzialmente più ampio. In questo senso non meno significativa è un’altra situazione, nella quale è coinvolta Sara Campesan: la collaborazione, insieme ad altri cinque artisti, con lo Studio Farnese di Roma e una società di Cava dei Tirreni per la produzione di elementi innovativi in ceramica. Nasce così la Linea Studio Farnese-C.A.V.A n. 1, presentata alla Biennale del ’72, nella sezione Arti Decorative. Sara Campesan realizza dei moduli – ipotesi di lavoro progettualmente prevista per tutti gli artisti – utilizzabili per il rivestimento di superfici, la costruzione di divisori e per la composizione di sculture fatte, come specifica il catalogo della Linea Studio, “da elementi tridimensionali, componibili”.

Senza far venir meno il proprio creativo e originale apporto nei progetti d’insieme, Sara Campesan ha riservato la propria attenzione anche al costituirsi di gruppi basati su una componente artistica esclusivamente femminile. Fin dalla fine degli anni cinquanta aveva partecipato alla gestione di spazi e alle prime rassegne di ‘genere’ (per la Galleria 3950 di Venezia), prenderà poi parte al sodalizio romano di “Donnarte”, da cui avrebbe preso spunto l’importante lavoro su Virginia Woolf, presentato per la prima volta nel 1982, come opera unica, un libro oggetto, un leporello, di sei metri di lunghezza per trenta centimetri di altezza, e pubblicato nel 1987 come volume della collezione Artemisia, dalla casa editrice Eidos di Vittoria Surian.

Scomposizione di una forma base, 1973, collage

Alla medesima casa editrice si deve anche la pubblicazione della monografia fuori commercio Sara Campesan 1950-2000 con introduzione di Assunta Cuozzo e testo di Raffaella Falomo (Mirano Venezia, 2001). La relazione fra forma e parola, e in particolare la parola poetica, così come il rapporto fra forma e suono costituiscono elementi di fondo della ricerca della Campesan, cioè la sua propensione alla interdisciplinarietà, chiave questa che permette di inquadrare meglio anche la sua collaborazione a progetti collettivi. Queste componenti sono tutte riscontrabili nella programmazione di Verifica 8+1, con le non poche mostre dedicate alla poesia visiva, e alla relazione fra immagine e sperimentazione sonora.

Affinché questa polivocità di relazioni e di interessi possano tenersi nel tempo, è necessario vi sia nell’artista un addensamento di riflessioni e pratiche operative in grado di delinearne inequivocabilmente il linguaggio e di rinnovarlo negli anni. Il lavoro di Sara Campesan in questo senso è esemplare, per la capacità di condensazione e per la chiarezza di una scelta formale che può essere fatta risalire alla metà degli anni sessanta. Nei testi critici che hanno interpretato il suo lavoro ritornano alcune osservazioni che mirano a leggere una possibile continuità fra una prima fase più nettamente pittorica (la Campesan aveva studiato all’Accademia di Belle Arti di Venezia con Bruno Saetti) e una seconda fase caratterizzata dall’utilizzo di materiali non ‘accademici’ e da un profondo rinnovamento formale. Opere come la Sedia (1950, olio su cartone, cm 50×70), la Finestra (1954, olio su cartone, cm 80×120), e, forse con un rapporto di filiazione ancor più evidente, la Colomba (1958, olio su cartone cm 60×60) sembrano in effetti contenere elementi formali ritrovabili nel linguaggio successivo della Campesan. Anche la fase più informale dei primissimi anni ’60, è di grande interesse per la ricostruzione del percorso dell’artista. Toccata però con molta intensità la questione del gesto soggettivo, della matericità, e spintasi fino all’indagine della corrosione della superficie nelle sorprendenti Spaccature, e nei Rilievi, la Campesan decide per un altro percorso, non per la mancanza di esiti qualitativamente alti, ma per il cambiamento che imprimerà di lì a poco alla sua ricerca. L’artista, come ricorda Bruno Munari, in un passo reiteratamente riportato in diverse pubblicazioni: “Dal 1964 (…) compie delle ricerche su due forme basilari: il disco e la spirale. Il disco come forma elementare ha la possibilità di trasformarsi in ellisse sempre più stretta fino ad annullarsi in una linea, se è appeso un filo. La spirale tagliata in una lastra di materiale plastico, ha la proprietà di uscire dal piano bidimensionale ed entra nello spazio, conservando la propria struttura, ma adattandola alla terza dimensione (….) Connessa a questa scelta formale c’è stata anche una scelta materica. Quale materiale è più adatto per dar corpo a queste forme, dato che l’autrice sente particolarmente il problema della luce? Il materiale scelto è quindi il metacrilato in lastre proprio per la proprietà di accogliere la luce al suo interno e rivelarla nello spessore”.

Doppia spirale

La conquista di un proprio ubi consistam per Sara Campesan è fatta di un’estrema rarefazione formale, un linguaggio basico, dato dal cerchio e dalla spirale, che poteva tradursi efficacemente solo nella trasparenza dei materiali, nella luce e nel dinamismo. Osservando quel che produce l’artista a partire dall’anno indicato da Munari, il distacco dalla fase pittorica sembra palesarsi nettamente nelle serie di lavori della seconda metà del medesimo decennio: Immagine circolare, Mobil quadrato, Mobil cerchio. Mobil con un evidente richiamo a Calder, ma anche indicazione di quell’uscita dalla superficie che apre alla vocazione spaziale dei lavori della Campesan. Nelle serie di lavori sunnominati vi è una dosatissima utilizzazione delle monocromie e delle colorazioni del perspex, che, insieme alla delicatezza di lievi rotazioni degli elementi, favoriscono l’interazione con lo spettatore, e con la luce. Elementi che possono prestarsi, come oggetti fra arte e design, anche a riconfigurare lo spazio nel quale vengono collocati; non solo opere, ma Strutture per un arredamento (1966). Le elaborazioni sulle forme basiche della geometria piana, si complicano con il disegno a spirale da cui deriva il protendersi dei lavori oltre la superficie: prendono così forma gli Ambienti-Spirali della prima metà degli anni ’70.

Mobil quadrato, 1968

L’idea di un’arte che viene controllata nel suo farsi procedurale, si precisa negli elementi formali e concettuali generati a partire da un modulo base, come si comprende osservando il Progetto Quaderno Campesan. Vi sono contenuti gli elementi fondamentali di un lavoro rigoroso, quanto aperto alle molteplici soluzioni degli anni a venire. Editato dalla Foglio editrice di Macerata nel 1971, il Quaderno è pensato come una sorta di processo continuo, determinato da un numero limitato di elementi grafici (quattordici). Le pagine, composte a partire dal disegno di una spirale circolare, alternano forme in positivo e in negativo, le cui spire hanno tutte la medesima larghezza (1 cm), con un andamento che viene graficamente evidenziato andando dalla spira esterna verso il centro della figura, nello sfogliarsi delle pagine del Quaderno. Se è stato possibile parlare di alfabeto per l’insieme di soluzioni proposte dall’artista, cioè di una composizione variabile sulla base di un numero limitato di elementi, è proprio grazie alla concezione modulare che emerge dalle pagine del Quaderno. E’ la stessa Campesan a descrivere con grande precisione come lei intenda il suo lavoro in un testo, Metodologia progettuale, composto di una sequenza di quindici punti, una sorta di meticoloso elenco di passaggi, in successione, per poter sviluppare l’equazione di partenza: Linea continua=spirale.

Anche la concezione della disposizione ‘rimata’ di un medesimo elemento grafico la ritroviamo sintetizzata in questa sequenza di punti della Metodologia progettuale. Probabilmente è lo stesso numero delle variazioni alfabetiche (quattordici, quanti sono i moduli previsti nel Quaderno) ad aver favorito l’accostamento letterario alla struttura canonica di un sonetto. E il medesimo sistema si presta anche a generare una partitura. Il tutto partendo dalla seguente considerazione: il segno nella sua valenza visiva, può essere considerato il significante grafico da cui deriva il Segno-Parola: “schema metrico della poesia in ricerca grafica” come lo definisce la Campesan, mentre grazie all’abbinamento fra il segno visivo e un segno uditivo possiamo ottenere un Segno-Suono. Ottenuto, ancora la Campesan nella Metodologia, da “undici scomposizioni” di un medesimo modulo “in fasce rettangolari programmate, spostate e capovolte”, dando così l’avvio alla ricerca “di un’identità interlinguistica”.

Virginia Woolf. Itinerario (Bio)grafico – Eidos edizioni

Il procedimento è rigoroso e allo stesso tempo aperto, e si può ulteriormente complicare con minime variazioni, ad esempio intersecando un solo modulo a spirale con sezioni verticali sempre della medesima larghezza delle spire. Se poi le sezioni così ottenute vengono fatte alternativamente ruotare o vengono capovolte, il modulo di partenza si trasformerà progressivamente fino a risolversi in una completa, quanto rigorosamente programmata, frammentazione della figura di partenza. Come avviene nella serigrafia (la serialità rimane una costante dell’opera della Campesan, lezione non dimenticata di Bruno Munari): – mod.5 sezione verticale a cm.1 con spostamenti programmati – (1979). Dove per mod.5 va intesa una delle figure (modulo 5) dell’alfabeto individuabili nel Quaderno del 1971. La struttura visivo-metrica, come abbiamo già ricordato, permette alla Campesan di confrontarsi reiteratamente con la poesia. Non solo la Woolf certo, anche altre grandi figure della letteratura: Montale, Pessoa, Gaspara Stampa. Però è con la Woolf, e qui la qualità di una tensione formale al femminile si evidenzia tutta, che può avvenire la connessione fra opera e vita. O più precisamente, come direbbe la stessa Campesan, fra Segno e Biografia. Da intendere come “Interpretazione con moduli, sezioni modulari, scomposizioni, spirali, manipolazione delle forme base, della vita di V. Woolf”.

Il senso di libertà, di rigorosità e leggerezza che hanno reso possibili le composizioni interdisciplinari (visive, letterarie, sonore) prodotte da Sara Campesan nella sua inesausta, pluridecennale ricerca fino a poco prima della sua scomparsa, meriterebbero ben altri approfondimenti. Qui almeno il ricordo di uno fra i molti che ha frequentato quel suo luogo in via Mazzini a Mestre.

Riccardo Caldura
© riproduzione riservata

 

Sara Campesan
Biografia

Nasce il 27 dicembre del 1924 a Mestre. Si diploma all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Nel 1951 inizia l’attività artistica, indirizzandola verso la sperimentazione. Nel 1964 entra a far parte del gruppo Dialettica delle Tendenze e del Set di Numero a Firenze. Nel 1972 è invitata alla Biennale di Venezia “Arte Industria”. È presente inoltre nel collettivo Sincron di Brescia presieduto da Bruno Munari e partecipa alla fondazione di Donnarte a Roma. Nel 1978 è socia fondatrice a Mestre del centro Verifica 8+1, insieme ad artisti come Aldo Boschin, Franco Costalonga, Nadia Costantini e Nino Ovan. Per tutti gli anni Novanta Sara Campesan tiene numerose esposizioni a Milano, Ferrara, Verona, Vicenza, senza cessare mai di promuovere uno scambio continuo e generoso con altri artisti per ricerche strutturali e didattiche. Dal 14 gennaio 2016 l’artista prende parte con le sue opere ad una importante mostra collettiva dal titolo “The Sharper Perception, Kinetic Art, Optical and Beyond” presso la GR Gallery di New York, accanto ad oltre 20 artisti di fama internazionale quali Alberto Biasi, Agostino Bonalumi, Carlos Cruz Diez, Julio Le Parc, François Morellet, Bruno Munari, Otto Piene, Sandi Renko, Turi Simeti e Victor Vaserely.
È scomparsa il 21 dicembre 2016.

Riccardo Caldura

Critico e curatore di mostre d’arte contemporanea, fra le sue pubblicazioni si segnalano: Un modo sottile – Arte italiana negli anni ’90 (cat. Editoriale Giorgio Mondadori, 1995); Alberto Viani (cat. Mazzotta editore, 1998); Natura della Luce, Cat. Marsilio, 1999); TerraFerma (cat. Charta, 2001), Citying-Pratiche creative del fare città (Supernova editore, Venezia 2005). Dal 2006 al 2010 è stato direttore artistico della Galleria Contemporaneo di Mestre, organizzando più di trenta mostre fra collettive e personali. (www.galleriacontemporaneo.it). Nel 2011 è stato curatore del padiglione dell’Albania alla 54. Biennale di Venezia. Tra i saggi e i volumi si segnalano la voce “Arte” nel volume collettaneo “Architettura del Novecento. Teorie, scuole, eventi” (Collana Grandi Opere, Einaudi, Torino 2012); “Esperienze artistiche fra fra ambiente e spazio pubblico”, (Annuario dell’Accademia di Belle Arti, Il Poligrafo, Padova 2013). “Venezia, l’Accademia e le nuove culture artistiche dagli anno 70 al 2000“ (L’Accademia di Belle Arti, Il Novecento, Antiga Edizioni, 2016). Hugo Ball, “Fuga dal tempo”, a cura di R.Caldura (Mimesis Edizioni, Milano-Udine, 2016). “Verbovisioni” (due volumi), a cura di R.Caldura (Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2017). Scrive per Exibart (online e on paper), per l’edizione cartacea tiene una propria rubrica (Ripensamenti) dal 2011. E’ docente di Fenomenologia delle arti contemporanee all’Accademia di Belle Arti di Venezia.