RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

Sole Luna Treviso Doc Film

“Mondi culture intrecci tra popoli e persone”, di Paola Brunetta

[Tempo di Lettura: 9 minuti]

SOLE LUNA DOC FILM FESTIVAL

MONDI CULTURE INTRECCI TRA POPOLI E PERSONE

di Paola Brunetta

soleluna

“In questa Terra pervasa dall’odio, nel mare Nostrum inondato di sangue, Sole Luna Doc Film Festival accende un faro di speranza; i film che saranno proiettati sono esattamente questa luce. Abbiamo bisogno di illuminare la tragedia dell’uomo che vive nell’abbandono di un campo profughi, che vede i suoi diritti elementari calpestati dal potere, che intraprende un viaggio della speranza per sfuggire a guerre fratricide” (Lucia Gotti Venturato nel catalogo del festival trevigiano del 2016, p. 22).

Sole Luna Treviso Doc Film
Sole Luna Treviso Doc Film Festival 2016, Palazzo dei Trecento
Foto di Clara Rosso

Ricordo bene l’effetto che ha fatto, nel 2013, l’assegnazione del massimo riconoscimento della Biennale Cinema di Venezia, 70^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, a Sacro GRA di Gianfranco Rosi, cioè a un documentario, seguita a ruota dal Marc’Aurelio d’Oro a Tir di Alberto Fasulo, all’allora Festival Internazionale del Film di Roma. Era sembrato a molti inopportuno che un genere “minore” come quello avesse ottenuto il Leone d’Oro, anche se qualcuno aveva apprezzato il coraggio della giuria, presieduta da Bernardo Bertolucci, nell’assegnare il riconoscimento alla qualità dell’opera, al di là del suo genere di appartenenza; nessuno però sapeva bene come definirla, se documentario o film, perché è stato solo in quel momento che in Italia, grazie ai premi sopra nominati, si è cominciata ad affermare l’idea che un documentario è un film a tutti gli effetti.

In quel periodo tra l’altro i documentari, fedeli alla realtà oppure più o meno “costruiti”, hanno cominciato a fioccare e, udite udite, ad uscire anche in Italia nelle sale; per cui l’impressione era quella di un nuovo corso, di un modo diverso e finalmente considerato importante, di guardare la realtà. Nelle sue varie articolazioni, perché, per stare su opere di quel periodo, Fedele alla linea (Germano Maccioni, 2013), ritratto dal vivo di Giovanni Lindo Ferretti, o Roman Polanski: A Film Memoir (Laurent Bouzereau, 2012), sono cosa diversa da Searching for Sugar Man (Malik Bendjelloul, 2012), che ci fa scoprire un musicista misconosciuto portandoci in una sorta di giallo che si snoda nel tempo, ed entrambi sono diversi da Amore carne (Pippo Delbono, 2011 ma uscito nel 2013), personale, intimo, “sporco”, o da una rievocazione storica di tipo classico come The Spirit of ’45 (Ken Loach, 2013) o La nave dolce (Daniele Vicari, 2012). Senza contare gli esperimenti come Tra cinque minuti in scena (Laura Chiossone, 2012) o Noi non siamo come James Bond (Mario Balsamo, 2012), in cui il confine tra realtà e finzione è davvero molto sottile (discorso a parte meriterebbero Per altri occhi di Silvio Soldini, 2013, e i due film da cui siamo partiti).

Sole Luna Treviso Doc Film Festival 2016, TRA a Ca’ dei Ricchi Foto di Angelo De Stefani
Sole Luna Treviso Doc Film Festival 2016, TRA a Ca’ dei Ricchi
Foto di Angelo De Stefani

In questo senso Sole Luna Doc Film Festival, che nasce a Palermo nel 2006 sulla scia di esperienze come quella del Festival dei Popoli di Firenze, unico festival del cinema di documentazione sociale radicato storicamente in Italia, ha il merito di avere precorso i tempi e di aver dato, quindi, dignità ad un genere che, come scrive Danilo Di Biasio, direttore del nuovo Festival dei Diritti Umani di Milano che di Sole Luna è partner, si caratterizza attraverso il trinomio “sogno, emozione, denuncia”. Anche se il direttore scientifico del festival palermitano, Gabriella D’Agostino, dedicando la rassegna a Favour, la bambina nigeriana di nove mesi sbarcata a Lampedusa il 26 maggio, ci riporta con i piedi per terra e, ricordando la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, fa notare quanto siamo ancora lontani, come Italia, come Europa e come mondo, da un’idea di accoglienza e di rispetto dell’”altro”, che passa necessariamente per la sua conoscenza. Lo scopo infatti dell’associazione Sole Luna – Un ponte tra le culture, che ha dato il nome a un festival che Lucia Gotti Venturato aveva pensato in collaborazione con AIWA (Arab Italian Women Association) e che inizialmente verteva sul Mediterraneo e sull’intreccio di culture che lo contraddistingue, è quello di avviare processi di amicizia e interscambio tra i popoli, favorendone la reciproca conoscenza attraverso gli strumenti dell’arte, in primis quella cinematografica. Si è arrivati così ad un festival che, negli undici anni palermitani e nei tre di Treviso, ha costituito un archivio di 3.000 documentari provenienti da tutto il mondo, ha raggiunto un pubblico di 60.000 persone, ha realizzato corsi di formazione per filmmaker, ha prodotto video e ha coinvolto nelle varie attività le istituzioni e le scuole del territorio, oltre a realizzare ad ogni edizione mostre ed eventi ad hoc dall’alto valore etico. Senza contare la collaborazione con altri festival, quello dei diritti umani sopra citato e, per Treviso, Treviso Comic Book Festival e il festival letterario Carta Carbone.

Sole Luna Treviso Doc Film Festival 2016, TRA a Ca’ dei Ricchi Foto di Angelo De Stefani
Sole Luna Treviso Doc Film Festival 2016, TRA a Ca’ dei Ricchi
Foto di Angelo De Stefani

Quest’edizione dell’11-18 settembre 2016, data d’inizio non casuale per un discorso di condanna ferma e radicale di tutti i terrorismi (alla cerimonia d’apertura era presente tra l’altro Luciana Milani, madre di Valeria Solesin), è stata infatti ampia ed articolata e ha avuto un successo di pubblico notevolissimo, con le proiezioni distribuite tra la sede istituzionale della Sala dei Trecento e la sede di TRA, Treviso Ricerca Arte, a Ca’ dei Ricchi. I film in concorso, 28, erano raggruppati in tre sezioni: Human Rights, che riguardava luoghi e situazioni in cui i diritti umani sono calpestati, My Journey, che si riferiva al viaggio in senso fisico, spaziale ma anche metaforico ed esistenziale, e Filming Cinema, sul cinema che filma il cinema; mentre i 7 documentari fuori concorso rientravano nella sezione Food for Life, incentrata sul cibo e sulla sostenibilità ambientale, o erano eventi speciali come quello dedicato a Tobia Scarpa, l’architetto e designer veneziano che ha ideato i premi di Sole Luna, omaggiato con un libro e un film dal titolo L’anima segreta delle cose. Ad affiancare il tutto due mostre fotografiche (nella Sala dei Trecento quella suggestiva di Rosetta Messori dal titolo “Visioni Mediterranee”, a Ca’ dei Ricchi l’interessante “Ri-scatti. Fotografi senza fissa dimora”, in pieno spirito Sole Luna anche se non curata da questo ma da Chiara Oggioni Tiepolo per TRA), il laboratorio di Andrea Segre per giovani filmmaker e il concerto di Faris Amine a chiudere, con la musica di un italo-tuareg. E una molteplicità di giurie che denota la pluralità di interessi degli organizzatori, la presidente Lucia Gotti Venturato e i direttori artistici Chiara Andrich e Andrea Mura: la giuria Città di Treviso composta da Giovanni De Luca, Dagmawi Yimer e Farah Polato, la giuria Soundrivemotion, presieduta da Giovanni Schievano, che ha assegnato il premio alla miglior colonna sonora, la giuria Africa composta da un gruppo di richiedenti asilo ospiti in città, la giuria Dams composta da studenti del DAMS di Padova, la neo-nata Giuria della Scuola composta da docenti e studenti di tre istituti superiori della città e, per quanto riguarda i premi, il premio dedicato a Rubino Rubini, documentarista e cofondatore del festival, e quello del pubblico.

Premiazioni, Sole Luna Treviso Doc Film Festival 2016, Palazzo dei Trecento Foto di Clara Rosso
Premiazioni, Sole Luna Treviso Doc Film Festival 2016, Palazzo dei Trecento
Foto di Clara Rosso

Tanta “carne al fuoco” quindi, con la proiezione anche di un film di Segre e di uno di Olmi (Rupi del vino, 2009) per Food for Life, ma la parte del leone l’hanno fatta i film del concorso, ed è su questi che andiamo adesso a concentrare la nostra attenzione.

La sezione più interessante quanto ad esiti è stata quella sul viaggio, My Journey, nella quale spiccavano due film che rappresentano chiaramente i due aspetti classici del documentario, quello strettamente realistico, dato in questo caso dagli spezzoni dei filmati girati con il cellulare nelle condizioni che potete immaginare da giovani rifugiati in fuga da tre paesi, Afghanistan, Siria ed Eritrea, e quello che riprende la realtà ammantandola di un alone poetico e piegandola ad una storia, o meglio accogliendo la storia che ci racconta, in questo caso quella di un uomo anziano che vive con la famiglia in un campo profughi in Pakistan e che vuole ritornare al suo villaggio, distrutto dalla guerra tra l’esercito e i talebani. #MyEscape (per la regia di Elke Sasse) e A Walnut Tree (Ammar Aziz) sono i titoli dei due film, il primo dolorosamente efficace nel mostrarci il viaggio di chi scappa da guerre e da luoghi in cui la vita non è degna di questo nome e nel farci capire le sue motivazioni, il secondo struggente per la storia che racconta di nostalgia e di radici perdute, e potente nello stile con cui narra questa storia, fotografia nitida, cromatismo studiato e montaggio che accompagna i sentimenti nel tempo che serve loro per manifestarsi. Altri film degni di nota di questa sezione, che ha tra l’altro ottenuto più premi dalle varie giurie anche attraverso le menzioni speciali, segno che la produzione era interessante e ricca e che il livello della rassegna era alto, sono stati Habitat – Note personali di Emiliano Dante, tristemente attuale nel raccontare in modo originale (bianco e nero, effetti grafici, musica graffiante a sottolineare alcuni momenti della narrazione e un autobiografismo che significa realismo e autenticità) gli anni successivi al terremoto dell’Aquila del 2009; La mia casa e i miei coinquilini di Marcella Piccinini, che ha ripreso un’intervista di Bellocchio a Joyce Lussu del 1994 per tessere un ritratto poetico, ma denso ed eticamente significativo, della letterata e traduttrice che è stata moglie di Emilio Lussu, oltre ad aver fatto con lui la Resistenza (e qui alle riprese dell’intervista si mescolano immagini di repertorio interessantissime, che coprono mezzo secolo di storia sulla voce narrante di Maya Samsa); e Tides – A history of lives and dreams lost and found (some broken) di Alessandro Negrini, un excursus di immagini d’archivio e di suggestioni oniriche a partire dal percorso del fiume Foyle, che si trova a dividere le due Irlande e che ci racconta questo e molto altro per come idealmente lo vive e sente. Storicamente interessante infine, anche se non propriamente riuscita sul piano cinematografico, l’indagine di Asmarina (Alan Maglio e Medhin Paolos) sulla comunità eritrea/ etiope di Milano e sulla sua origine.

Lo Staff di Sole Luna Foto di Angelo De Stefani
Lo Staff di Sole Luna
Foto di Angelo De Stefani

Passando alla sezione sui diritti umani, le opere che si sono distinte sono quelle che in effetti hanno poi ottenuto dei riconoscimenti, dalle giurie ufficiali o dal pubblico; mi riferisco in particolare a 16 Years Till Summer di Lou McLoughlan, Loro di Napoli. Afro-Napoli United di Pierfrancesco Li Donni e Accademia della follia di Anush Hamzehian. Per il primo ci riallacciamo a quanto detto all’inizio, andando ad esplorare un altro modo di “fare documentario”: la regista lavorava in un penitenziario e qui ha conosciuto Uisdean, il protagonista, in prigione per un omicidio non voluto (il colpo di fucile era partito accidentalmente), e ha deciso, quando questi dopo 16 anni di buona condotta è uscito per accudire il padre malato e poi per tentare una nuova vita con la donna di cui si era innamorato attraverso le lettere che lei gli scriveva in carcere, di seguirlo e di riprendere la sua nuova situazione. Per cui gli eventi reali, piccoli (la cura del padre e del giardino, degli animali domestici e della casa) e grandi (la convivenza con la donna che lo ha aspettato), che l’uomo vive diventano episodi di una narrazione che potrebbe essere fiction, e Uisdean diventa il protagonista di un vero e proprio film, costruito su di lui nel paesaggio incantevole della Scozia, che è l’altro elemento portante dell’opera. Il secondo è la storia semplice, raccontata così com’è quindi filmando senza troppi filtri la realtà, di una squadra di calcio sui generis, l’Afro-Napoli United, che è passata dopo cinque anni nel campionato federale di Terza Categoria e che deve quindi sostenere un impegno non facile per i suoi componenti, napoletani ma anche immigrati di seconda generazione della Costa d’Avorio, di Capo Verde, del Senegal e del Brasile, spesso privi dei documenti necessari a praticare uno sport a livello professionale. Il regista prende in considerazione in particolare tre giocatori, e attraverso le loro vite e le loro storie ci rende partecipi di un esempio positivo di integrazione e passione. Accademia della follia è invece la storia di una compagnia teatrale, L’Accademia della Follia appunto, nata a Trieste nel ’92 dalle spoglie del Velemir Teatro, fondato nel 1983 all’interno dell’ex-ospedale psichiatrico, e del gruppo precedente di Claudio Misculin, datato 1976. Anush Hamzehian, che vive a Parigi e che è da sempre interessato a ciò che “esce dalla norma” (un altro dei suoi film è incentrato sull’orto che sta all’interno del carcere della Giudecca a Venezia, e sulla sua importanza per alcune detenute), segue l’ultimo mese di prove dello spettacolo Obelix e Asterix fino all’anteprima al teatro Rossetti di Trieste, facendoci penetrare dall’umanità e dalla forza degli attori di questa compagnia singolare. Mi piace segnalare infine A Better Place di Giulia Della Casa, per il rigore anche formale (che ricorda uno splendido documentario dello scorso anno, The Silent Chaos di Antonio Spanò, che quest’anno ha portato a Sole Luna il suo nuovo progetto) con cui tratteggia, in 16 minuti, la vita dei rifugiati congolesi nello Zambia, che fa fatica ad accettarli e ad accoglierli; Irrawaddy mon amour di Testagrossa/ Grignani/ Zambelli, poco riuscito ma interessante per il tema delle unioni omosessuali in Birmania, proiettato in collaborazione con il Coordinamento LGBTE di Treviso; e Vita activa. The spirit of Hannah Arendt di Ada Ushpiz, il film più impegnativo della rassegna, ritratto denso e interessante di una delle filosofe più importanti del Novecento.

Presentazione di “Tobia Scarpa – L’anima segreta delle cose” Sole Luna Treviso Doc Film Festival 2016, Palazzo dei Trecento Foto di Angelo De Stefani
Presentazione di “Tobia Scarpa – L’anima segreta delle cose”
Sole Luna Treviso Doc Film Festival 2016, Palazzo dei Trecento
Foto di Angelo De Stefani

Filming Cinema, per finire. E qui, indubitabilmente, Kubrick o meglio Emilio D’Alessandro, l’uomo che per trent’anni ha fatto da autista ma in realtà da consigliere e tuttofare al regista più esigente della storia, diventandone amico. S Is for Stanley di Alex Infascelli, già presente alla Festa del Cinema di Roma nel 2015, premiato con il David di Donatello per il documentario e uscito nelle sale a maggio, ci racconta questa storia di umanità e devozione, di fiducia e di bisogno, di diversità che si incontrano e non riescono più a separarsi, tanto che D’Alessandro ha aspettato che Kubrick morisse per tornare in Italia, dove ha scritto il libro che fornisce lo spunto al film. Molto interessante anche Nemico dell’Islam? Un incontro con Nouri Bouzid di Stefano Grossi, che traccia in maniera sapiente il ritratto del maggior regista tunisino vivente (della figlia, Leyla, è appena uscito nel nostro paese Appena apro gli occhi – Canto per la libertà) attraverso le sue parole e le immagini dei suoi film, in particolare L’uomo di cenere, Making Off e Millefeuille, che toccano in modo originale i nodi della politica e della società della sua terra (originalità pagata da Bouzid con cinque anni di carcere prima, e con un’aggressione dopo). Parimenti interessante come indagine in senso lato del mondo arabo Arabic Movie di Bezawie e Tsifroni, che illustra l’ostilità tra Israele ed Egitto attraverso i film egiziani che, negli anni delle guerre arabo-israeliane, la televisione del paese nemico continuava a trasmettere.

Il Sole Luna Award, disegnato da Tobia Scarpa Foto di Angelo De Stefani
Il Sole Luna Award, disegnato da Tobia Scarpa
Foto di Angelo De Stefani

In chiusura una citazione che racchiude il senso del percorso, per finire come abbiamo cominciato:

“Le idee, se trovano chi desidera trasportarle e prendersi cura di loro, si muovono, dilagano, sono in grado di passare da una mente all’altra, da una vita all’altra, di caricarsi di nuova esperienza, di assumere nuove sembianze e scorrere con rinnovata passione” (Fabio D’Agati nel catalogo del festival palermitano del 2015, p. 18).

 

Paola Brunetta