RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

Anatomia di un grande inquisitore, di Francesco Maria Cannatà

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Fëdor Dostoevskij “protagonista” al Festival della Politica di Mestre

di Francesco Maria Cannatà

Dostoevskij e Cristo. Dostoevskij e il potere. Dostoevskij e il sottosuolo. Dostoevskij e il mondo attuale. Lo scrittore di San Pietroburgo è indubbiamente il personaggio centrale della settima edizione del Festival della Politica in programma a Mestre dal 7 al 10 settembre.
Quattro incontri, uno per ogni giornata della manifestazione, per ribadire come di fronte al tema tutto moderno della crisi, del disagio esistenziale che si insinua negli individui incapaci di trovare spiragli nella soffocante cappa che ne avvolge la vita, l’autore de I Fratelli Karamazov sia tuttora l’artista più sensibile, inarrivabile e assolutamente non superato. Se si potesse muovere un appunto a questo interessante percorso sarebbe quello di non aver dedicato un momento al ruolo che il pensiero di Dostoevskij svolge nella Russia contemporanea.

Durante l’URSS lo scrittore aveva subìto l’ostracismo riservato ai personaggi ideologicamente scomodi, al più tollerato come autore classico ma irrimediabilmente marginale. Disprezzato da Lenin ed escluso dai canoni letterari dall’intelligentsija sovietica, con l’unica eccezione di Lunacharskij, lo sdoganamento  dell’artista avverrà nel febbraio 1956, in occasione del 75° anniversario della morte, con l’annuncio fatto dalla Literaturnaja Gazeta dell’edizione completa delle opere in dieci volumi.

Dall’URSS alla Federazione russa

Se l’URSS diffidava per quanto riteneva essere nazionalsciovinismo, razzismo, delirio militarista e fanatismo religioso dello scrittore, oggi questi punti critici dell’opera di Dostoevskij, complessivamente visti sotto una luce produttiva, vengono riformulati e apprezzati in funzione della coesione sociale. La sua opera, i suoi grandi romanzi tragici come gli scritti pubblicistici, vengono rivendicati in quanto potenziale nucleo ideologico dello Stato russo. Una svolta che non sfugge all’impressione di essere fatta a ragion veduta, tradendo dunque eccessi meccanicistici, momenti circostanziali e, a volte, superficialità di affermazioni. E nonostante Fëdor Dostoevskij sia tra gli autori più importanti del XIX e XX secolo mobilitati dal Putin neoconservatore, nemmeno il presidente russo può dirsi libero da un rapporto strumentale con l’artista.

Esemplare a questo proposito quanto avvenuto a Dresda nel 2006 e l’anno successivo in occasione del 50° anniversario del Trattato di Roma. La città sassone è un luogo familiare a Dostoevskij come a Putin. Meta privilegiata tra 1862 e 1869 dei numerosi vagabondaggi europei dello lo scrittore, Dresda è stata dal 1985 al 1990 la base operativa del Vladimir Putin esponente dei servizi di sicurezza sovietici. Tornato nella città sulle rive dell’Elba in occasione dell’inaugurazione del monumento dedicato a Dostoevskij, il presidente russo di fronte ad Angela Merkel esaltava la componente pro europea dell’artista.

«Una delle affermazioni più conosciute di Dostoevskij – sottolineava Putin – è che la bellezza salverà il mondo». Affermazione da mettere in relazione secondo il presidente «all’armonia tra gli esseri umani». Nell’onore che il governo tedesco e Dresda riservavano a Dostoevskij, il leader russo vi vedeva l’espressione «dell’esistenza di una cultura comune dello spazio europeo».

Putin affermava inoltre la propria “volontà” di fare di tutto affinché in «futuro la concertazione europea basata sulle migliori tradizioni umaniste del continente si possa rafforzare».
In termini meno ottimistici si esprimerà nel marzo 2007. Prendendo spunto dalla ricorrenza dei trattati di istituzione della CEE, Putin riprende il discorso tenuto a Mosca da Dostoevskij in occasione dell’inaugurazione del monumento a Puškin, l’8 giugno 1880. Alle considerazioni dell’artista secondo cui “diventare un vero russo” significa «precisamente volere la definitiva riconciliazione delle contraddizioni europee», Putin aggiunge che «senza la Russia l’Europa non può fare parte del mondo».

Il’ja Glazunov, Due Principi (il Gran principe di Novogord-Severskij, Igor Svjatoslavich intento a organizzare la resistenza contro l’invasione delle tribù pagane dei Cumani)

Ma non è solo il pensiero politico dello scrittore di San Pietroburgo a essere utilizzato in funzione della contingenza politica. Lo stesso è accaduto anche con la produzione artistica dello scrittore. Così la sera del 25 marzo 2014, giorno segnato dalla vittoria presidenziale di Petr Poroschenko in Ucraina, la catena televisiva Rossija 1, trasmetteva la prima puntata della riduzione televisiva de I Demoni.

Realizzato da Vladimir Khotinenko, l’adattamento per il piccolo schermo del romanzo di Dostoevskij suggeriva che in Russia dietro i tentativi di voler cambiare l’ordine legittimo, vi sono sempre giovani nichilisti cinici e brutali e intellettuali occidentalisti ridicoli, alienati e respinti dal popolo. Perlomeno questa è l’accusa lanciata da Dimitrij Bykov allo sceneggiato televisivo. Dai microfoni della radio Echo Moskvy lo scrittore prendeva di mira coloro che vedono «indemoniati in chiunque voglia il cambiamento» e chi «mette sullo stesso piano riformatori e rivoluzionari, anche se i riformatori vogliono appunto impedire la rivoluzione». Secondo Bykov l’adattamento de I Demoni fatto da Khotinenko non solo non corrisponde al “testo e al contesto” dell’opera di Dostoevskij, ma utilizza a fini ideologici uno dei più celebri scrittori della letteratura universale.

Locandina de I Demoni

Gli ambienti conservatori russi non hanno però dubbi, gli avvenimenti dell’Ucraina rispecchiano quanto descritto da Dostoevskij ne I Demoni:  i liberali occidentalisti sono responsabili degli avvenimenti, violenti e nichilisti, causati da chi prende sul serio il loro pensiero. Come accaduto in Russia dopo il 1840. Giudizi certamente non estranei al patrimonio intellettuale dello scrittore russo.

Dostoevskij possedeva uno spirito critico e non amava il liberalismo occidentale e il capitalismo, fenomeni di cui aveva una rappresentazione particolare. Ma il criterio più importante dell’animo russo, come lui lo rappresenta nei propri romanzi, è la sua complessità, la capacità di accettare tutti i possibili contrasti e la predisposizione all’estremo. A questo occorre aggiungere che il cittadino Dostoevskij esprimeva le proprie opinioni politiche e sociali in una attività pubblicistica in cui è sempre rimasto fedele all’idea che l’élite russa, i ceti istruiti del paese, non devono staccarsi dagli strati più umili del popolo russo, devono riconciliarsi con i contadini, per dar vita a un solo mondo in grado di sostenersi reciprocamente.

Il simbolo di questa armonia era, più della persona fisica dello Zar, l’istituzione monarchica. A differenza di questo universo idilliaco, i romanzi dello scrittore sono invece costellati da personaggi dai caratteri diversi e dalle ideologie a volte opposte, sempre però in grado di dialogare tra loro. È questo complesso intreccio tra pubblicistica e arte che ha reso e rende possibile a correnti politiche molto differenti, in Russia come all’estero, di richiamarsi al pensiero di Dostoevskij.

Il’ja Glazunov, Vechnaja Rossija

            Il bivio costante dell’Eterna Russia

La posizione di preminenza di Dostoevskij nel contesto del pensiero storico “grande russo” e in relazione all’attuale autocoscienza della maggioranza della popolazione è stata espressa con grande chiarezza da Il’ja Glazunov, nel quadro Vechnaja Rossija, (Eterna Russia). In questa opera, un monumentale dipinto tre metri per sei, ideata e conclusa negli anni della dissoluzione sovietica Glazunov raffigura decine di personalità storiche del paese, uomini politici e religiosi, filosofi e artisti, tutti protetti della figura del Cristo crocefisso che si staglia su di loro. Al centro dell’immagine, nella sua prima fila ai piedi della croce, vi è un Dostoevskij riflessivo con in mano una candela accesa. Il fatto che gli Zar della Russia moderna e persino Puškin, unanimemente ritenuto il più grande dei classici russi, siano dietro a Dostoevskij, sottolinea la posizione singolare del pittore, morto lo scorso giugno a Mosca, verso l’artista pietroburghese. Un’adorazione sconfinante nell’idolatria, che Glazunov condivide con gli ideologi russi del movimento euroasiatico.

«Tutta la Russia si trova per così dire di fronte a un punto di non ritorno e ondeggia davanti all’abisso», scriveva Dostoevskij nel 1878. Lo scrittore cercava di allontanare il paese dal baratro cui secondo lui s’avvicinava, e per farlo si afferrava a quanto riteneva essere gli scogli saldi e rocciosi del passato: Ortodossia, Autocrazia e Nazionalità.

A oltre un secolo da questi giudizi è possibile fare un bilancio della strada che Dostoevskij riteneva indispensabile percorrere per salvare la Russia. L’autocrazia è stata travolta dalla propria incapacità di dare risposte ai problemi dell’impero. L’ortodossia, paralizzata da decenni di comunismo, è alla faticosa ricerca di se stessa. E la nazione, crollata due volte in meno di ottanta anni, è oggi di fronte al problema di evitare di ripetere i fatali errori del passato. La Russia è di nuovo davanti all’alternativa tra riforme e abisso. Da che parte starebbe Dostoevskij?

 

Giovedì 7 settembre, ore 16.30
Piazzale Candiani
Fausto MALCOVATI con Antonio GNOLI
Satana e Cristo: la lotta nel cuore dell’uomo

Venerdì 8 settembre, ore 16.30
Piazzale Candiani
Andrea TAGLIAPIETRA con Antonio GNOLI
Dostoevskij. Il palazzo di cristallo e la confessione del sottosuolo

Sabato 9 settembre, ore 16.30
Piazzale Candiani
Vincenzo VITIELLO con Antonio GNOLI
Potere e religione in Dostoevskij

Domenica 10 settembre, ore 16.30
Piazzale Candiani
Sergio GIVONE con Antonio GNOLI
Dostoevskij nostro contemporaneo

 

Immagine di copertina: Dostoevskij ritratto nella stazione delle metropolitana di Mosca Dostoyevskaya

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