RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

King Crimson, radicalità senza radice : la nuova Corte Cremisi

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King Crimson, radicalità senza radice : la nuova Corte Cremisi

di Antonio D’Este

Era da tempo che alla Corte del Re Cremisi si era in aspettativa che accadesse qualcosa. Dal 2003, anno di pubblicazione di “The Power To Believe”, con la sola eccezione di “A Scarcity Of Miracles” nel 2011 (ma non accreditato con il nome del gruppo), Robert Fripp, il sommo “Monarca”, sembrava avesse definitivamente concluso la quarantennale avventura di uno dei Grandi Gruppi del Progressive, nato nel lontano 1969.
Invece, nel 2014 qualcosa si muove. Dopo aver comunicato nel tardo 2012 di dover necessariamente sospendere l’attività musicale (continuata nel frattempo come solista nelle esplorazioni Soundscapes ) per far fronte al crescente impegno della causa legale da lui intentata alla Major Universal, in modo un po’ inatteso – come del resto e spesso nelle precedenti riformazioni del gruppo – nel 2014, una Band rinnovata pubblica un album Live registrato all’Orpheum di Los Angeles.

La cosa che balza subito in evidenza è l’irrobustimento della sezione ritmica: all’abituale supporto ritmico di Pat Mastelotto vengono affiancati altri due batteristi; il primo, Bill Rieflin, americano, proviene dal celebre gruppo dei R.E.M. e si era già fatto notare in compagnia di Fripp in occasione della pubblicazione di due precedenti lavori qualche anno prima. Il secondo, Gavin Harrison, dopo una lunga attività come “sideman”, arriva dai momentaneamente disciolti Porcupine Tree di Steven Wilson, dopo un rodaggio iniziato qualche anno prima. Al basso viene riconfermato l’invece rodatissimo Tony Levin, nel gruppo dal 1980 – e agli strumenti a fiato Mel Collins; quest’ultimo già presente dal 1971 al 1972. Infine la scelta della seconda chitarra (e parti cantate) che a sorpresa cade su Jakko Jakszyk.

 

Da sinistra:Tony Levin, Gavin Harrison, Mel Collins, Bill Rieflin, Robert Fripp. Pat Mastelotto, Jakko Jacszyk.
Da sinistra: Tony Levin, Gavin Harrison, Mel Collins, Bill Rieflin, Robert Fripp, Pat Mastelotto, Jakko Jakszyk

Quest’ultimo, valente chitarrista, si era già fatto notare per aver suonato in passato con i Level 42 e a fianco dello stesso Gavin Harrison in una interessante formazione denominata “Dyzrhytmia” nei primi anni ’90. Inoltre, aveva partecipato alla formazione di una band denominata “21st Century Schizoid Band” proprio con Mel Collins ed alcuni membri che si erano avvicendati in seno al gruppo nelle sue molteplici formazioni. Il Gruppo, data la non negoziabile indisponibiltà di Fripp nel voler risuonare live quei pezzi, riproponeva dal vivo il repertorio “classico” dei King Crimson stessi e pubblicando alcuni pregevoli lavori con il medesimo repertorio per buona parte degli anni ‘90. In totale la nuova line-up del gruppo di Robert Fripp si (ri)presenta dunque come un settetto composto da 4 inglesi e 3 americani. La sorpresa, come si accennava, si riferisce all’assenza di Adrian Belew, che aveva condiviso le sorti del gruppo fin dal 1980. Costui, chitarrista e cantante con all’attivo significative esperienze sin dai tardi ’70 principalmente con David Bowie, Frank Zappa e i Talking Heads di David Byrne, aveva firmato numerosi pezzi del “nuovo corso” della musica crimsoniana a partire dal 1980, essendo anche autore dei testi.

Dicevamo della pubblicazione avvenuta nel 2014 all’Orpheum. Il repertorio scelto in quella prima pubblicazione ufficiale dal 2003, mostra come Fripp abbia ripensato al tradizionale diniego sulla riproposizione di “old songs” e nonostante la brevità del contenuto, (7 pezzi) include 4 versioni Live del repertorio tradizionale, laddove per “tradizionale” si vuol intendere ciò che il gruppo suonava principalmente dal 1970 al 1974. Il risultato è curioso. Fa indubbiamente un certo effetto riascoltare quei pezzi in una forma che naturalmente non può non essere confrontata con le versioni originali, o le medesime versioni live apparse in innumerevoli pubblicazioni contenute in copiosa misura nel catalogo DGM, l’attuale etichetta di proprietà di Fripp stesso. E ancora di più perché giungono inattese. Giunge poi notizia, nei primi giorni del 2107 dell’ulteriore aggiunta di un quarto batterista (Bill Rieflin, in probabile ritorno dal suo anno “sabbatico”). Che dire ? Che pensare ?

 Pat Mastelotto, Gavino Harrison, Kevin Stacey, Mel Collins, Jakko Jacszyk, Tony Levin, Robert Fripp
Da sinistra: Pat Mastelotto, Gavin Harrison, Jeremy Stacey, Mel Collins, Jakko Jakszyk, Tony Levin, Robert Fripp

Sicuramente il Signor Fripp deve aver colto il notevole entusiasmo verso una formazione così bizzarra e “scenografica” da parte del pubblico più giovane e naturalmente immemore delle ben diverse gesta del gruppo stesso, sebbene in altri periodi. E sicuramente l’aspetto visuale è di grande importanza per uno show così ricco di spunti dati anche dal recupero di materiale snobbato sistematicamente da anni. Il recupero, inoltre, di figure importanti come quella di Mel Collins ha giovato non poco alla restituzione di un suono nato in quel modo, per i pezzi interessati. E’ anche vero che l’utilizzo di tre batterie (ed ora di 4) risulta sostanzialmente inutile laddove pezzi nati e concepiti con una sola batteria non sembrava necessitassero di revisioni ritmiche o ragionevoli aggiunte.

Inoltre, l’apporto in termini tecnici di Pat Mastelotto (il drummer più “ vecchio” tra i molti cambiati) appare e rimane modesto. Quello di Rieflin trascurabile (sebbene Fripp lo “utilizzi” per alcune parti eseguite al mellotron), rendendo di fatto Gavin Harrison l’unica autentica colonna e spinta ritmica del gruppo. Le parti, in verità brevi, in cui Mr. Fripp riusciva ancora a ritagliarsi spazi solistici sono ridotte all’osso e l’impressione generale di una pesantezza ed eccessiva “matematicità” dei suoni e delle esecuzioni persiste per tutta la visione del bluray accluso nella confezione del loro recente triplo live. Il quarto, si noti, di una serie di live che ripongono in buona sostanza sempre il medesimo repertorio con qualche variazione. Appare piuttosto evidente come Tony Levin, bassista di grande esperienza, si ritrovi impacciato e fuori posto nell’esecuzione dei pezzi del vecchio repertorio. E soprattutto si avverte la mancanza della figura carismatica di Adrian Belew, lasciato inopitatamente a casa dopo più di trent’anni di notevole “servizio”. L’apporto di Jakszyk risulta appena sufficiente a colmare un vuoto così grande e chiaramente avvertibile.

Mel Collins, Tony Levin, Jakko Jacszyk, Robert Fripp / In basso : Pat Mastelotto, Jeremy Stacey, Gavin Harrison.
In alto da sinistra: Mel Collins, Tony Levin, Jakko Jakszyk, Robert Fripp / In basso : Pat Mastelotto, Jeremy Stacey, Gavin Harrison

In buona sostanza, si ha l’impressione che l’ennesimo “risveglio” del Signor Fripp non sia stato dei più freschi e non si avverte nemmeno l’esigenza di dare un senso alla presenza di tre o quattro batteristi con nuove composizioni atte anche solo a giustificare la loro partecipazione. Gli episodi, per la verità brevi, contenuti in “Radical Action (to unseat The Hold of Monkey Mind)” in realtà si limitano ad essere abbozzi di qualcosa che non accade. E di radicale in questa ennesima “incarnazione” dello storico gruppo guidato da Robert Fripp resta in realtà ben poco.

Antonio D’Este

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