RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

La-Montagne-de-Venise

“La Montagne de Venise”, di Chiara Bertola

[Tempo di Lettura: 9 minuti]

Venezia ha sempre avuto il suo stile, unico in Europa e che ha influenzato l’Oriente. La Montagne fa parte di un tentativo verso uno stile. E’ ciò che manca all’architettura di oggi. Questo tentativo si aggiunge a una piccola serie già realizzata. Dove ciò porterà non lo sappiamo, ma vale la pena di tentare. Penso che sia un’apertura”(Yona Friedman)

 

La Montagne de Venise è la terza tappa di un itinerario architettonico di Yona Friedman e Jean-Baptiste Decavèle in Italia voluto e sostenuto da Zerynthia1. Dopo il Vigne Museum nei vigneti dell’azienda friulana di Livio Felluga; dopo No Man’s Land – terra di tutti – nei prati e nei boschi di Loreto Aprutino in Abruzzo, è arrivata a Venezia la Montagne de Venise, che ha navigato lungo i suoi canali e la sua laguna.

Vigne Museum, Tenuta Livio Felluga, Friuli (foto Luigi Vitale)
Vigne Museum, Tenuta Livio Felluga, Friuli (foto Luigi Vitale)

 

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No Man’s Land, Loreto Aprutino, Abruzzo, (foto Gino Di Paolo)

 

La Montagne de Venise è un’azione di architettura partecipativa: una semplicissima struttura, composta di cerchi di legno di castagno, alta più di sette metri, mobile e trasformabile, ormeggiata su una chiatta che ha navigato per tre giorni in vari punti della Laguna.

Ma per capire il significato de La Montagne è importante ricordare che chi l’ha ideata, Yona Friedman, è una delle figure più interessanti del panorama culturale del nostro tempo. Approcciare il suo pensiero e il suo modo di progettare e fare architettura significa prima di tutto capire che lo spazio va inteso come un dispositivo di conoscenza relazionale e umana.

Con i suoi celebri disegni a fumetto, Yona Friedman ha illustrato nei suoi libri i temi più importanti che hanno segnato lungo il tempo il suo pensiero e la sua ricerca: dall’esplorazione del mondo dell’improvvisazione, all’utilizzo delle tecniche semplici del costruire apprese dallo studio delle Favelas; dal riciclo e dal riutilizzo dei rifiuti, all’indagine ludica dei meccanismi sociali; dal recupero di memorie di un luogo o di una comunità, alla volontà di esplorarne fisicamente i confini, fino alla necessità di mettere in discussione abitudini, pregiudizi e modi di vivere…

Yona Friedman, 93 anni, di origini ungheresi, sfuggito ai rastrellamenti nazisti e allo sterminio, ha vissuto per circa un decennio in Israele nella città di Haifa prima di trasferirsi stabilmente a Parigi nel 1957. Negli anni 1953-54 conosce Konrad Wachsmann, i cui studi sulle tecniche dei prefabbricati e sulle strutture tridimensionali hanno su di lui una notevole influenza. Nel 1956, al X Congresso Internazionale di Architettura Moderna di Dubrovnik, il suo “Manifeste de l’architecture mobile”, con il suo approccio universalista e la sua fede nel progresso, mise in discussione il modernismo. Proprio in quel congresso si cominciò a parlare di “architettura mobile” nel senso di “mobilità dell’abitare”.

Yona ricorda l’esperienza ad Haifa dopo la guerra come decisiva per il formarsi del suo pensiero e la messa a punto del “manifesto dell’architettura mobile”. «Era il modo per rispondere alla grande immigrazione di quegli anni. Tanta gente proveniva da paesi e culture diverse e aveva bisogno di abitare in luoghi che potessero essere cambiati a seconda delle esigenze. Questo era il principio dell’architettura mobile: considerare le pareti di casa altrettanto provvisorie quanto un oggetto d’ arredo». Ecco, l’autocostruzione, la piccola comunità, quella che poi Yona Friedman definirà come “gruppo critico”, un gruppo con un numero massimo di persone tale da rendere possibile una comunicazione di tutti con tutti. “L’ architettura deve ascoltare gli abitanti di un luogo”2.

Con l’esempio della Ville spatiale, Friedman aveva individuato, per la prima volta, i princìpi di un’architettura capace di comprendere le continue trasformazioni che caratterizzano la “mobilità sociale”. La ville spatiale è essenzialmente basata su “infrastrutture” che prevedono abitazioni e norme urbanistiche che possono essere create e ricreate a seconda delle esigenze degli occupanti e dei residenti. Quest’idea semplice e basica, era già in sintonia allora con la forte mobilità che stava diventando sempre più necessaria, e che domina anche la nostra epoca.

Oggi Yona Friedman sta vivendo un felice momento di riconoscimento e di consacrazione. Una mostra alla “Cité de l’Architecture e du Patrimoine” di Parigi ripropone e riflette sulla sua Architecture mobile e Architecture vivante, la “Serpentine Gallery” di Londra gli ha chiesto di progettare il tradizionale padiglione estivo del suo giardino, ed è appena uscito in inglese, curato con Manuel Orazi, un primo grande volume dedicato alla sua opera3. Inoltre, Quodlibet ha ripubblicato il suo libro anticipatore Utopie realizzabili4, la cui prima edizione era uscita in francese nel 1974 e in italiano nel 2000.

L’enorme attenzione che il pensiero di Yona Friedman sta ricevendo da parte degli architetti, ma soprattutto del mondo dell’arte contemporanea – come ha sottolineato Renato Bocchi -, è dovuto al fatto che con la crisi epocale in cui siamo immersi, “è sempre più necessario trovare sponda in una visione del futuro che sia fondamentalmente socio-politica e sommamente ecologica, prima ancora di essere artistico-architettonica: “In una prospettiva globale, e in debito con i giorni gloriosi del Moderno, Friedman è salito di nuovo alla ribalta soprattutto perché insiste sulla necessità di approntare infrastrutture pubbliche democratiche che tengano conto dell’indeterminatezza dei processi e della lucida registrazione della necessità di soluzioni economiche, in quanto teorico di un progetto di autocostruzione, flessibile e prefabbricato, pensato secondo principi di indeterminazione spaziale” (William Harris)5.

Ho avuto il privilegio di lavorare con questo straordinario architetto/artista già nel 2009 quando l’avevo invitato a partecipare a Terre Vulnerabili6, la mostra sperimentale che avevo immaginato per l’Hangar Bicocca. Era un progetto in cui, come in un campo seminato, le opere dovevano crescere lungo l’arco di un anno, seguendo un ritmo di trasformazione e di crescita diviso in quattro fasi. Una di queste fasi, la prima, aveva come titolo un pensiero di Yona Friedman: “Le soluzioni vere vengono dal basso” tratto dal suo bellissimo libro “L’architettura di sopravvivenza. Una filosofia della povertà” 7:“Le soluzioni che vengono «dall’alto» sono inefficaci; soltanto quelle che vengono «dal basso» sono vere soluzioni. […] Le soluzioni da considerare devono obbedire in primo luogo alle leggi della comunicazione tra umani, e solo in seguito a quelle della natura. […] La natura è abitabile a condizione che si sappia come abitarla e che si sia capaci di comportarsi secondo le sue esigenze […] Si tratta dunque dell’applicazione di un realismo rigoroso, a lungo dimenticato, dell’arte di abitare la terra.”

All’Hangar Bicocca, visto il tema della vulnerabilità, Yona mi aveva proposto Une ville spatiale pour artistes : un grigliato regolare di cartone, costruito su più livelli, all’interno del quale trovava spazio un labirinto/percorso. La forma di questo labirinto, modificabile durante l’esposizione, suscitava un’azione condivisa, ospitando al suo interno gli interventi degli altri artisti del progetto Terre vulnerabili. Quella volta Yona, aveva sentito la necessità di “umanizzare” lo spazio “enorme, fuori misura e disumano” dell’Hangar, riportandolo a una scala adatta all’osservazione delle opere, offrendo un altro livello di intimità. Lo spazio del labirinto non si dava così in maniera irreversibile ma, anche per i materiali fragili che lo costituivano, si offriva ogni volta per essere manipolato e modificato dagli artisti che cercavano un accogliente mis en place delle proprie opere.

 

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Progetto “Terre Vulnerabili”, Une ville spatiale pour artistes, Hangar Bicocca, Milano, 2010 (foto Agostino Osio)

 

Progetto “Terre Vulnerabili”, Une ville spatiale pour artistes, Hangar Bicocca, Milano, 2010 (foto Agostino Osio)
Progetto “Terre Vulnerabili”, Une ville spatiale pour artistes, Hangar Bicocca, Milano, 2010 (foto Agostino Osio)

Ho ricordato quest’esperienza dell’Hangar, perché mi aiuta a capire, attraverso un’immagine e un’azione concreta, quell’idea fondamentale di Yona Friedman per cui l’architettura è principalmente un’esperienza comunitaria. Durante la conferenza tenuta alla Fondazione Querini Stampalia per presentare La Montagne de Venise, e in tutte le altre occasioni di discussione con gli studenti coinvolti, Yona, ha più volte sottolineato che “l’architetto non serve tanto a costruire edifici (ce ne sono fin troppi!) ma serve a ricordarci che siamo noi a costruire e a modificare la nostra città in base alle nostre esigenze”. Venezia, che lui ama moltissimo, rappresenta forse l’esempio più straordinario di una comunità che ha saputo costruire una città a propria misura. A Venezia, che con la sua tradizione teatrale, giocosa e carnevalesca s’inserisce con grande sintonia in questo progetto, Yona Friedman ha riconosciuto il merito di essere l’unica città veramente moderna, un città che ha continuato a tenere separata la viabilità delle macchine da quella dei pedoni. Allora “Perché non costruire una montagna a Venezia?”: La proposta lanciata da Yona Friedman unisce l’ironia alla consapevolezza che solo un’azione architettonica partecipata può attivare nuove dinamiche urbane. Costruire una montagna a Venezia significa cambiare il paesaggio, modificare la visione che si ha di un luogo, permette un nuovo punto di vista su quanto ci circonda. È un’opportunità, offerta ai cittadini e ai turisti, di vedere e vivere con altri occhi una città troppo spesso ridotta a stereotipo da cartolina. Lo stesso Yona, aveva già proposto una serie di non-convenzionali “cartoline postali” di Venezia, esposte alla Galleria di Massimo Minini di Brescia nel 2009.

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La Montagne de Venise, (particolare) ormeggiata davanti all’Accademia di Belle Arti, Venezia 2016 (foto Jean-Baptiste Decavèle)

 

La Montagne de Venise, è un’architettura effimera e trasparente, costruita all’Arsenale e portata su una chiatta per la laguna. E’ fatta di cerchi di botte di castagno, economici e resistenti, che sono stati colorati e uniti in strutture poliedriche – cubi e dodecaedri – moduli che sono poi stati montati insieme. Per costruirla abbiamo coinvolto quasi cinquanta studenti dello Iuav-Istituto Universitario di Architettura di Venezia, dell’Accademia delle Belle Arti di Venezia, del Conservatorio B. Marcello, dell’Università degli Studi di Udine e di diverse altre istituzioni culturali della città, insieme agli artisti in residenza alla Fondazione Bevilacqua La Masa.

Ma che cos’è la Montagne? …. Un museo, una nave, un auditorium, un teatro, uno strumento per guardare la città?… La Montagne è di chi la costruisce e di chi la anima. Soprattutto è stata una formidabile occasione d’incontro.

Ho deciso di aderire al progetto de La Montagne de Venise quando, insieme a Giuliano Sergio, abbiamo presentato alla Fondazione Querini Stampalia il primo intervento mobile proposto da Yona e Jean-Baptiste nel paesaggio italiano, il Vigne Museum, insieme alle fotografie della serie il Profilo delle nuvole di Luigi Ghirri, un altro grande maestro del paesaggio8. Quando Jean-Baptiste Decavèle ci ha proposto di far navigare una Montagne nella laguna, abbiamo capito che si sarebbe trattato di curare un dispositivo interattivo e aperto, un luogo che, per esistere, avrebbe dovuto coinvolgere gli studenti, i suoi professori più sensibili, mettendo insieme le istituzioni culturali della città e gli interventi performativi degli artisti. Ma, soprattutto, avrebbe dovuto sollecitare la partecipazione spontanea dei cittadini… Tutte queste cose si sono avverate dal 22 settembre al primo ottobre, nella città e tra la gente come una concatenazione positiva e magica di eventi che si sono susseguiti uno dopo l’altro.

La Montagne de Venise, concerto di Nicola Cisternino, Venezia 2016 (foto Chiara Bertola)
La Montagne de Venise, concerto di Nicola Cisternino, Venezia 2016 (foto Chiara Bertola)

 

Yona Friedman, un uomo anziano ma con una grande forza ancora integra, ha deciso di essere con noi per costruire la Montagne e farla vivere. Soprattutto, ha voluto aiutarci ad appropriarcene, a immaginare le soluzioni più inaspettate e vitali intorno ad essa. Durante la settimana in cui Yona è stato con noi, abbiamo improvvisato diversi incontri, discussioni, seminari, performances, cercando ogni volta di coinvolgere anche le moltissime associazioni dei giovani che qui a Venezia stanno cercando di opporre azioni di resistenza pur di mantenere la città in vita. Abbiamo sentito la sua lezione che è stata chiara e quasi elementare, ma proprio per questo, oggi, capitale! Per esempio: “basta costruire una piccola forma o un dispositivo e intorno subito si mette in moto qualcosa che cresce spontaneamente insieme alla gente. In fondo la gente ha voglia di giocare e di stare insieme. Bisogna evitare l’evidenza perché in genere ciò che non è evidente è molto più complesso e non si vede perché sta dietro le cose.” Oggi a Venezia la “Montagne” di Yona, riesce a rendere evidente un’attitudine “immateriale” della nostra città: la sua mobilità, che si esprime per esempio nell’incontro spontaneo delle persone nelle calli. “Queste cose non sono evidenti a Venezia ma la sostanziano. La rendono unica. Altra cosa che fa capire l’importanza di un concetto di non evidenza è il riciclo che è parte sostanziale della sedimentazione della storia delle città. Il riciclo è parte della bellezza dell’Italia….”. L’architettura deve essere qualcosa di molto più ampio di una costruzione, piuttosto un assemblaggio complesso che ha un risultato minimo ma che ha a che fare con l’organizzazione della vita e del vivere delle persone.“Una città in fondo è solo l’imballaggio di questi modi di vivere e di incontrarsi della gente”. E agli studenti che gli spiegano che il problema di Venezia è che si sta svuotando di 1000 abitanti all’anno, lui risponde :”Fuori ci sono migliaia di profughi che hanno bisogno di una casa e di una città: accoglieteli e Venezia ritornerà ad essere quello che era nel suo passato, diventando anche l’esempio che ha saputo essere nel tempo!”. Una risposta che si collega alla sua esperienza di vita di cui lui stesso ci parla: «Durante la seconda guerra mondiale e subito dopo, ho avuto l’esperienza della miseria, delle coabitazioni forzate e ho capito l’importanza dell’aiuto reciproco». E c’è ancora un’altra cosa che ho amato moltissimo nelle sue parole venute fuori in quei giorni: la fiducia nei giovani e la voglia di lavorare con loro. “Lasciate che i giovani facciano alla loro maniera. Loro hanno sempre delle soluzioni nuove, ma purtroppo non hanno le possibilità di esprimerle“.

In “L’architettura senza costruire” Yona ha scritto: “Non è la tecnologia del costruire che è cambiata; io penso piuttosto alla maniera di utilizzare la tecnologia e non d’inventarla. Agli studenti dico che sono loro che devono inventare nuove tecnologie sostenibili”. Un importante ingrediente, per questo straordinario architetto, è il concetto di improvvisazione. La Montagne de Venise è iniziata per scherzo, poi è diventata una cosa possibile e seria. Nei giorni della navigazione portavamo con noi degli hula-hop che permettevano di scatenare l’improvvisazione degli abitanti. “Se noi guardiamo l’architettura più avanzata di oggi, si vede l’errore madornale di considerarla una scultura. L’architettura non dovrebbe essere una scultura…, caso mai una delle cose importanti dell’architettura è quella di essere scultura del vuoto, che è la cosa più difficile.”9

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Yona Friedman, Riva dei Sette Martiri, Venezia 2016 (foto Chiara Bertola)

Ora La Montagne de Venise è approdata davanti a una delle entrate dello Iuav a Santa Marta. Ci rimarrà per tutto il primo Semestre. Vedremo che cosa rimetterà in moto…

Chiara Bertola

 

Note

1 Zerynthia, Associazione per l’arte contemporanea e RAM Radio Arte Mobile, create e volute da Mario e Dora Pieroni. L’Associazione per l’Arte Contemporanea Zerynthia, costituita nell’anno 1991 a Roma, cura, promuove ed organizza manifestazioni di arte contemporanea in Italia ed all’estero con l’intento di ampliare i confini verso una fruizione dell’arte sperimentando sempre nuove modalità. Si propone come struttura leggera e flessibile capace di presentarsi come modello complementare alle strutture culturali istituzionali. Collabora stabilmente con RAM radioartemobile, con una web-radio in streaming 24 ore dedicata all’arte contemporanea http://live.radioartemobile.it/
2. Francesco Erbani in La Repubblica.it http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/06/29/architetto-delle-utopie-friedman-troppo-marketing.html
3 Yona Friedman, Manuel Orazi, Yona Friedman. The dilution of architecture, Park Books, Zurich, 2015
4 Yona Friedman , Utopie realizzabili, Quodlibet, Milano, 2016
5 Renato Bocchi, La montagna di Yona Friedman approda a Venezia, in http://ilgiornaledellarchitettura.com/web/2016/09/21/la-montagna-di-yona-friedman-approda-a-venezia/
6 Confronta il libro della mostra Terre Vulnerabili – a growing exhibition, a cura di Chiara Bertola con Andrea Lissoni, Corraini, Milano, 2010
7 Yona Friedman, L’architettura di sopravvivenza. Una filosofia della povertà, Bollati Boringhieri, pp. 74-154, Torino, 2009
8 Per questa occasione è stato pubblicato il Quaderno n.1 del Fondo Ghirri, a cura di Chiara Bertola e Giuliano Sergio, Corraini, Milano, 2015
9 Le parole in corsivo sono di Yona Friedman e sono stralci dal suo discorso di presentazione al Convegno “Ry-cicle” a cura di Renato Bocchi e parte del programma de La Montagne de Venice allo Iuav.

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