RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

Lisa Perini, emozioni che vengono da ogni luogo

[Tempo di Lettura: 41 minuti]

L’arte di Lisa: «emozioni che vengono da ogni luogo»
(prima parte)

 

Senza arte, la crudezza della realtà renderebbe il mondo insopportabile, sostiene G. B. Shaw e questa affermazione potrebbe ben illuminare uno degli effetti principali impliciti del lavoro degli artisti, i quali ci aiutano (ed aiutano sé stessi naturalmente) a redimere l’esistenza, offrendoci una cura per le asperità e le stringenti necessità con cui il Vero si presenta a noi, non certo fuggendolo o disattendendolo, ma sapendo accogliere le «emozioni che vengono da ogni luogo» (lo diceva Picasso), per trovare il senso segreto di ogni cosa, anche apparentemente insignificante o già nota e quindi data per scontata. Lo sapeva il poeta, «c’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico»… come non intenderne il senso profondo, l’eterna attualità?

Questo è ciò che fa ogni giorno Lisa Perini con la sua pittura, le sue installazioni e performances, dare spazio alle emozioni che vengono da ogni luogo, incantarsi ed incantarci di fronte ad un paesaggio lagunare come davanti alla cartina lucente che avvolge una caramella, osservare un’architettura con la stessa intensità di un frammento colorato di plastica, di una perlina di Murano o di un ciuccio di bimbo, sognare una natura che realizzi pienamente, attraverso le visioni e i Paradisi di cui l’arte è capace, quel sentimento di totalità che solo può abbracciare erbe, fiori, cieli, animali e uomini come parti inscindibili della stessa vitale pulsione.
In Lisa, parafrasando Nietzsche, il Caos originario da cui sempre scaturisce la pittura partorisce stelle danzanti.
Finnegans ha ritenuto, dunque, opportuno dedicare al lavoro dell’artista trevigiana un ampio profilo critico e iconografico che, per l’ampiezza dei materiali proposti, dovrà essere suddiviso in due parti, pubblicate una di seguito all’altra.

Nella prima parte un’intervista a Lisa Perini, condotta da Luigi Viola, che si propone di tracciare, con le parole di Lisa stessa, il complesso percorso dell’artista, i passaggi e le evoluzioni del linguaggio fino alle ultime esperienze, delineando i tratti della sua poetica.
Seguono due commenti analitici di Giorgio Nonveiller e Luigi Viola, entrambi docenti di indirizzo di Lisa all’Accademia di Belle Arti di Venezia e curatori del volume Il dominio del rosso, edito da Marsilio nel 2006, da cui i testi, relativi ad alcuni importanti aspetti e fasi della formazione accademica di Lisa, sono stati tratti.
Nella seconda parte seguiranno i testi di Nicola Cisternino e Giordano Montorsi (docenti di Lisa all’Accademia di Belle Arti di Venezia), accompagnati dagli scritti e recensioni di Simone Gobbo, Valerio Dehò, Carlo Sala ed Ennio Pouchard che, unitamente all’apparato iconografico, daranno completezza ad un affresco molto articolato dell’arte di Lisa Perini.

Lisa nel suo atelier, foto di Stefano Carella

CINQUE DOMANDE PER LISA
a cura di Luigi Viola

1.

Ripensando al tuo percorso di artista, quali sono i momenti che ritieni essere stati più importanti nel tracciare un passaggio, una evoluzione del tuo linguaggio, nel segnare una nuova frontiera del tuo fare?

Se ripenso al mio cammino di artista devo dire come prima cosa che è stato per me importante poter fare tante esperienze sia di pittura che di scultura nelle varie scuole e laboratori frequentati e poi anche a casa. Ricordo vagamente quando ancora abitavo in via Roggia nella mia prima infanzia, allorché ho iniziato a scrivere le mie prime parole in stampatello e in grande, per passare poi alle elementari al corsivo. Ogni momento ha la sua importanza nel processo generale. Quando parlo dei laboratori, dunque, non mi riferisco solo alle esperienze fatte in età adulta ma penso sia all’asilo che alle elementari dove facevamo dei collages e dipingevamo con la tempera stando in compagnia. Anche i miei disegni-pitture che realizzavo da bambina-ragazzina li considero infatti parte della mia evoluzione artistica e per quanto mi riguarda un disegno tra i più belli è quello dell’arcobaleno che ho fatto all’età di 12 o 13 anni, con le fate e i fiori.

Ricordo le poesie scritte negli anni in cui sono stata aiutata dal dottor Levis e i disegni con i ritratti dei miei compagni, sia della scuola primaria che dell’Istituto d’Arte.

Poi un giorno, durante la frequenza dell’Istituto d’Arte, mio papà mi ha regalato una tela e dei colori acrilici e ho iniziato così a dipingere su tela. La prima volta ho dipinto un quadro molto colorato, con un po’ di prospettiva. Ricordo come un momento importante quando, qualche anno dopo, ho iniziato a realizzare i miei quadri rossi con i catarifrangenti e anche quando ho dipinto un pannello ad olio per la mia amica Stefania con il suo bambino «Oskar e la Natura». Stefania poi purtroppo è morta.

Con l’aiuto dei miei professori in Accademia e nei vari laboratori ho imparato, mi sono evoluta nelle varie tecniche della pittura e della scultura, approfondendo anche i problemi del linguaggio.

Per me è stato molto importante negli ultimi anni aver realizzato la grande Vergine con il Bambino e un Crocifisso in resina con il professor Pozzobon e poi ancora con lui le sculture degli Angeli in terracotta.

Cristo crocifisso, altorilievo in resina, 2013 (collezione privata)

Ricordo in particolare la grande installazione che ho fatto con il professor Viola «Stanza da musica sottomarina» quando ho portato in Accademia nell’Aula 2 un tronco dal Lido di Venezia che è fiorito e poi ho colorato di rosso. In qualche modo si è trattato di una vera performance, la prima forse.

Stanza da musica sottomarina, installazione, materiali vari a dimensione ambiente, 2005

Nel 2012 invece, a fine estate, durante l’installazione all’isola di San Servolo «Le Finestre sul Cielo»  con la Professoressa Sostero – che ho realizzato con i balconi della mia camera dipinti di rosso attraverso i quali osservavo il cielo anche di notte – ho camminato accarezzando alcuni oggetti della mia infanzia, facendo ondeggiare la mia sciarpa rossa di seta e con il movimento del mio corpo ho fatto la mia prima performance pubblica. In contemporanea venivano proiettati sulla parete opposta i miei primi video con il movimento della pioggia, del fiume, eccetera.

Le Finestre sul Cielo, installazione, materiali vari a dimensione ambiente (Isola di San Servolo), 2012

A Thiene alla presentazione della mia mostra «Sguardi» ho fatto una performance diversa dalle altre, perché nel mio movimento ho suonato le percussioni accompagnata dal professor Cisternino; le loro vibrazioni donano una forte energia e creano un forte contatto emotivo con chi mi ascolta. Le performances, l’abbigliarmi in modo particolare, qualche volta in rosso e qualche volta in azzurro, muoversi con gesti lenti secondo un certo ritmo interiore, mi danno molto piacere.

Le performances, mostra «Sguardi», Thiene, 2015

Tra le mostre che mi hanno dato maggior soddisfazione vi è quella al NeK Ente perché è stata la mia prima vera mostra, curata dalla mia amica Maria Teresa e la mostra importante a Villa Benzi Zecchini presentata dai Professori Viola e Nonveiller (con catalogo). Ricordo anche quando ho esposto al Museo Pecci di Prato e la personale a Fondazione Benetton a Treviso curata da Chen Mei Yuan. Mi ha dato molta soddisfazione la mostra «Two Points» (assieme agli artisti taiwanesi) presentata ad Asolo alla Torre Reata dove ho «interpretato», anche con una installazione, la storia di Caterina Cornaro. Le tre grandi tele rappresentanti il ritorno a Venezia sono a Taiwan, e appartengono al Yuhsiu Museum of Art.

Two Points 2011, Asolo Torre Reata (Yuhsium Museum of Art, Taiwan)

Certamente è stata per me molto importante l’ultima mostra personale «Natura Grembo Materno» alla Galleria Elefante di Treviso, dove ho fatto una bella performance. Ricordo anche con piacere le due mostre allo Shiraz, una tanti anni fa e una l’anno scorso, perché mi hanno dato l’occasione di trovarmi fra amici.

Natura grembo materno – Nuvola, mostra personale, Galleria arte contemporanea l’Elefante di Treviso, 2017

2.

Nel tuo lavoro dominano inequivocabilmente il sentimento del colore e l’energia della materia che fanno dell’esperienza della pittura la via privilegiata dell’espressione artistica. Nondimeno, le sperimentazioni tentate con felici risultati nel campo dell’installazione, della fotografia, dell’uso del computer e delle nuove tecnologie, dei materiali extra-pittorici, del suono, sono state e sono altrettanto importanti per definire un percorso che, come per molti altri artisti contemporanei, si avvale di molteplici e concomitanti possibilità tecniche ed espressive. L’unico ambito verso il quale hai mostrato minore attrazione – mi pare – è stato quello dell’immagine in movimento, in particolare del video. Quale la possibile ragione e cosa rappresenta per te l’immagine in movimento? Non ti viene voglia di tentare anche questa sfida?

Le esperienze artistiche nelle quali principalmente ho utilizzato il movimento sono quelle performative, ma ho fatto delle riprese in passato con la telecamera e più di recente usando i telefonini. Però effettivamente ho preferito il contatto con la materia al video, perché il video e la fotografia mi sono sembrate un po’ inflazionate e perché in definitiva mi sono sempre sentita più portata per la pittura e la scultura, però non mi dispiacerebbe rivedere tutti i video che ho fatto e selezionarne qualcuno da inserire in qualche mostra. Mi è piaciuto molto, ad esempio, un video delle alghe che ho fatto a Venezia (in qualche maniera questo video mi ha ispirata per l’opera in cera persa «Corpi antropomorfi», realizzato durante il Corso di plastiche ornamentali con il prof. Danilo Ciaramaglia). 

Corpi antropomorfi, cerapersa ora realizzata in bronzo, 2011

Per selezionare e montare dei video è necessario avere una buona conoscenza degli strumenti tecnici. Questo non è facile per me e mi faccio aiutare nell’ufficio di mio padre; mi è più semplice creare al computer dei lavori digitali.
Non c’è comunque tantissimo movimento nei miei video, c’è certamente più movimento nelle performances. Quello che mi viene voglia di fare come sfida è di riproporre ora, a distanza di tempo, alcuni di essi.
Per i video l’idea è quella di installare dei televisori o dei proiettori in spazi idonei, in modo da creare una relazione tra immagine video e spazio. L’immagine in movimento può rappresentare quel qualcosa di poetico che noi viviamo in certe situazioni, come le onde del mare, i suoni, le vibrazioni e il canto degli uccelli, il vento, la pioggia, la luce del sole che si riflette nel mare e nei miei video più recenti infatti ho ripreso le cose cercando però di tenere fermo l’obbiettivo su un soggetto, mantenendo quindi al minimo il movimento.
Se riprendo le alghe a Venezia c’è un minimo movimento della superficie dell’acqua; l’ultimo video è di pochi giorni fa all’isola di San Servolo e ho ripreso l’albero dei cachi; il movimento è impercettibile perché ho cercato di tenere molto fermo l’obbiettivo del cellulare, c’è – quello sì – il canto degli uccelli dell’isola di San Servolo, il rumore delle barche, il canto della laguna e dei gabbiani. Queste immagini in lievissimo movimento per me rappresentano la calma potenza dei fenomeni della natura, il vento e il mare, il movimento delle stelle e dei pianeti, ecc., al contrario della frenesia che distingue molto spesso i comportamenti umani.
Mi interesserebbe anche proporre delle nuove performances utilizzando uno strumento di percussione che voglio imparare a suonare; dovrebbero avere una durata breve, 5 o 10 minuti al massimo, per non stancare chi mi sta a guardare.

3.

Qual è l’importanza del sogno nel tuo lavoro e in che modo l’immagine sognata è espressione di vitale concretezza, di relazione con il mondo delle cose, che nel sogno dell’arte non viene negato ma rimodellato e ripensato alla luce delle più impellenti ed umane necessità interiori?

L’importanza del sogno nel mio lavoro sta nella sua capacità di idealizzare la realtà con dei colori vivaci che piacciono a me e con delle forme armoniche. Sia nella pittura che nella scultura interpreto la realtà delle cose, ma la idealizzo secondo la mia fantasia, come a me piace. Amo dipingere sia i paesaggi che i ritratti che gli angeli e la natura con i colori brillanti e di mia fantasia per rendere più gioiosa la mia arte. L’importanza del sogno nel mio lavoro di artista è di permettermi di viaggiare in altri mondi e in nuovi paesaggi senza perdere gli amici.

Angeli suonatori (da dittico – disegno preparatorio su cartoncino e acquerello/pastello su cartone rosso) – interpretazione dell’affresco della Chiesa di S. Francesco a Treviso, 2016

In alcuni miei lavori, come ad esempio quello progettato per la Sala dei giovani presso i Carmelitani a Treviso, la funzione del sogno è di farmi immaginare di poter vivere in un Paradiso dove ci sono angeli, fiori e farfalle e la natura è in armonia.
Una cosa molto importante per me è trasmettere allegria e gioia con i miei lavori a chi li guarda e non tristezza. A volte devo accettare un compromesso rispetto a quello che io vorrei fare, o a certe tematiche che vorrei proporre. Ma quando un lavoro mi viene commissionato, devo realizzare quello che mi viene chiesto; per il lavoro che mi hanno chiesto i Carmelitani, ad esempio, non posso dipingere nudità perché i frati non le vogliono.
Così mi prendo alcune ore per lavorare sulle cose che mi vengono chieste e altre ore per lavorare sulle cose che piacciono a me.

4.

Quale relazione esiste nel tuo lavoro tra il tradizionale dominio del rosso e l’emergere potente e crescente del bianco? Da cosa è nato il bisogno del bianco?

Ho dipinto in passato tanti quadri rossi perché il rosso è il colore più vivace, che dà energia vitale ed emozione; così ho fatto i miei quadri rossi con i catarifrangenti; il rosso per me è come il sangue, la pulsazione del cuore e la passione, mentre il bianco è come la purezza e la semplicità. Con la morte di mia nonna mi è venuta voglia inconsapevolmente di dipingere alcuni quadri bianchi; ho sentito dire che in Giappone il lutto si rappresenta con il bianco. Il bianco come una pasta in bianco, come la sobrietà. Quando dipingevo solo in rosso in passato ho pensato alle sinfonie in rosso, ho dipinto con varie tonalità di rosso su molti supporti, realizzando moltissimi lavori non solo su tela ma su cartone e con materiali diversi, come quando con la resina acrilica e i pigmenti ho dipinto una architettura di Sidney in Australia.

Visioni – La Salute Venezia, olio su tela, 80 x 100, 2009

Ad un certo punto, dopo aver dipinto tante opere rosse ho avuto voglia di fare qualcosa di nuovo, di creare delle nuove opere usando questa volta il bianco con il trasparente e l’oro. Ogni tanto sulle mie opere ho usato pure il verde e l’azzurro per fare qualcosa di diverso; il verde rappresenta gli alberi e il mare, le erbe e le piante, l’azzurro e il blu rappresentano il mare e il cielo. Il bianco rappresenta la luce e la somma dei colori.

5.

A cosa stai lavorando in questo momento e pensando al futuro prossimo, cosa intravvedi nel tuo orizzonte creativo?

Nel 2012/2013 ho fatto un percorso di studio di pedagogia e antropologia dell’arte con il prof. Di Chiara, da questa esperienza straordinaria sono partite delle ricerche per fare la tesi in scultura «La Bellezza del Sacro, il Sacro della Bellezza» con il prof. Roberto Pozzobon (del quale ho frequentato con grande piacere il corso di scultura), ispirandomi a Grünewald, a Bosch e ad altri artisti: Venezia e le sue chiese mi hanno offerto materiale inesauribile, come pure la mia città di Treviso.

San Servolo, olio su tela, 100 x 120 cm, 2012

Non è per me così importante presentare subito la tesi – ho completato tutti gli esami – ho però in programma di continuare le mie ricerche. Fra i miei prossimi progetti ci sarà una visita al Musée d’Unterlinden, Colmar, Alsazia (Francia) per vedere da vicino l’altare di Isenheim di Mathias Grünewald, di cui ho interpretato in più versioni la crocifissione e sarà per me una grande emozione!

Interpretazioni Pala della crocifissione di M. Grünewald – penna rossa su carta, acquerello su carta, tecnica mista su tela, cm 150 x 75, 2013

Per quanto riguarda la scultura mi appassionano in particolare, in questo momento, le opere di Arturo Martini e le sculture del grande Ivan Meštrović suo contemporaneo. Ho interpretato a modo mio, con varie tecniche, antichi affreschi e voglio ripetere questo tipo di lavoro.

Ivan Meštrović, Accordi lontani, bronzo (in Ossero – Croazia) – Lisa Perini, Ivan Meštrović – la suonatrice, disegno su carta

Ora sto preparando un progetto per realizzare una grande opera pittorica per i Padri Carmelitani; ho appena preparato i disegni e adesso ne ho stampato delle copie su cartoncino dove intervengo con gli acquerelli e alla fine realizzerò il progetto definitivo sulle tele.

Un acquerello preparatorio per il trittico destinato alla Sala dei Giovani dei Carmelitani, 2018

Ho intenzione di continuare a dipingere quadri di architetture di paesaggi veneziani, trevigiani e fare ritratti di famiglia con bambini e animali. Come pure mi piace ritrarre le maternità delle amiche che sono disponibili a farsi fotografare e riportarle nella tela sia nel momento dell’attesa, sia con il loro bambino. Vorrei, se fosse possibile, fare una mostra dedicata. 

Elena, acquerello su carta, 2018

Mi piacerebbe realizzare anche certi ritratti in scultura e fare ancora angeli e altri lavori in terracotta, continuando a sperimentare varie tecniche pittoriche e scultoree. Ho intenzione di realizzare ancora delle opere con materiali di riciclo utilizzando catarifrangenti, corde dismesse di chiatarra e i vetri che i miei amici delle fornaci di Murano continuano a regalarmi.

Rosso cuore d’inverno, installazione con materiali di riciclo vari, Loggia dei Cavalieri, Treviso, 2010

Voglio completare le cinque tavole del mosaico (iniziate durante il Corso di plastiche ornamentali con il prof. Maurizio Zennaro), che illustrano la mia favola sulla diversità per poi proporle in una mostra magari dedicata al tema. A proposito di «diversità» ho in programma di partecipare a laboratori d’arte in aiuto ai bambini autistici.

Mosaico La mia favola sulla diversità, 2011

Mi dà molta soddisfazione continuare a frequentare il corso del prof. Danilo Ciaramaglia, col quale ho fatto delle ricerche interessanti e sperimentato nuove tecniche, in particolare con la cerapersa. Ho appena realizzato una fusione in bronzo da cerapersa che sarà presente nello spazio dell’Accademia di Venezia all’Open Day 2018.

Fiori di stelle con capelli d’angelo, fusione in bronzo da cerapersa, 2016.

La Musica mi ha sempre accompagnata nella mia arte: le chitarre, i leggii con gli spartiti musicali sono soggetti costantemente presenti nei miei quadri; ho per lungo tempo, prima di trasferirmi nel mio atelier, dipinto ascoltando e osservando le prove dei concerti di Alessandro. La musica è per me fonte di serenità e di armonia.

Ho creato delle «quinte musicali» per accompagnare le rassegne di concerti «Tra Rose Sonore» a Palazzo dei Trecento a Treviso; vorrei continuare in futuro a sviluppare questa tematica in collaborazione con mio fratello. Nell’ultimo concerto ho portato anche le mie nuvole rosse.

Quinte musicali rassegna “Tra Rose Sonore”, Palazzo dei Trecento Treviso, 2018

Molto interessante per me è stata, ed è ancora, la frequentazione in questi anni dell’aula del professor Cisternino all’Accademia di Venezia. Trovo molto affascinante quando parla delle note, dell’universo, della velocità della luce e del suono; mi dà l’ispirazione per creare nuove opere di installazioni con le mie nuvole per rappresentare i mondi lontanissimi con le stelle.

Creare le mie nuvole mi appassiona e mi diverte molto. Sono cariche dell’energia vitale dei semi dei frutti degli alberi di San Servolo. Le mie nuvole sono una pittura a tre dimensioni che diventano installazioni e con le mie applicazioni sono come dei quadri astratti però a forma di nuvole.

La donna nell’Arte, l’Arte di essere donna, collettiva Palazzo dei Trecento, Treviso, marzo 2018

Le nuvole sono «divinità».
Le nuvole mi danno gioia. Le nuvole nuotano nell’universo, sono delle galassie di stelle; mi proiettano con la fantasia nei mondi lontanissimi, che ho spesso riportato nella mia pittura.
Le nuvole sono come dei grandi cristalli liquidi, sono portatrici di pace.

Mi piacerebbe creare un’atmosfera cosmica e melodie musicali con le mie nuvole, mettere dei sottofondi musicali che ho trovato in alcune applicazioni di astronomia del mio smartphone perché mi fanno stare bene e in armonia con il cosmo. Ho desiderio di poter creare con le mie nuvole un universo musicale con gli hertz, le note, le stelle e le galassie, mi piacerebbe fare delle esposizioni e delle performances usando le corde di chitarra dismesse e i ciucci. In queste mie installazioni mi piacerebbe inserire le musiche di Luigi Nono, oltre a quelle di cui ho parlato prima.

IL PERCORSO DI LISA PERINI ALL’ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VENEZIA
di Giorgio Nonveiller

Sulla formazione della pittura di Lisa

Le considerazioni sulla pittura di Lisa le inizierei da un interessante lavoro del dicembre 1992: Sto studiando le cellule, un dipinto a pennarelli su carta, che raffigura sette persone, tra le quali compaiono due figure maschili: un adolescente in posizione centrale, Luca, molto cresciuto di statura, quasi senza capelli, con barba di primo pelo; l’altra figura, in alto e a destra nel foglio, si chiama Nicola, dalla lunga capigliatura scura. Tra i due una figura femminile un po’ villosa, con qualche tratto maschile. Sotto una bambina piccola dai capelli neri. Alla sinistra di Luca tre ragazze più grandi, tutte ben identificabili: Monica, Gianna e Lisa; le due ultime sembrano essere appena giunte in volo. Solo l’accurato disegno delle scarpe ci dice che le sette figure sono ancorate a terra, ritte in piedi innanzi a noi, in posizione frontale mentre ci fissano intensamente.

Sto studiando le cellule, 1992, pennarelli su carta, cm 24 x 34

La composizione fa pensare ad una sorta di stile ieratico, simile a un mosaico bizantino, ma se ne differenzia per l’assoluta bidimensionalità: non è affatto una «prospettiva rovesciata»1, ma vige una certa indistinzione tra figura e sfondo. Infatti la superficie disegnata e dipinta del foglio appare tutta animata fino al minimo dettaglio. Tale indistinzione tra figura e sfondo è rilevabile anche nella distribuzione dei colori, caratterizzati da gamme che dal giallo cadmio, all’ocra, all’arancio, ai rossi tendenti verso il violaceo, al marrone, non presentano tanto un colore dominante quanto una tonalità più generale che va dall’ocra al rosso violaceo.
Il «vuoto» tra le figure è completamente riempito da minuscoli abeti, disposti quasi a schiere parallele, con qualche soluzione di continuità, data da una serie di animali sopra e sotto, in posizione centrale, che parrebbero essere dei cagnolini domestici.

Il titolo del lavoro allude allo studio delle cellule fatto a scuola che, in qualche modo, legittima la fantasia che ogni elemento del visibile è fatto di altre parti più minuscole, come si vede negli abiti di Luca, in quelli della figura femminile di sinistra; nonché nelle vesti di Monica, Gianna e Nicola. In Luca la maglia e i calzoni sembrano scompartiti da insiemi matematici che riuniscono pallini o fiorellini, quasi delle ‘macrocellule’che derivano dalla divisibilità – non proprio seriale – dei disegni degli abiti, in un processo che potrebbe apparire inverso rispetto a quello percettivo caratterizzato dalla iperselettività,2 laddove ogni parte sembra avere la stessa (o maggiore) importanza rispetto all’insieme. Mentre la tissularità del lavoro, come in un mosaico, suggerisce invece un processo che è tale da portare Lisa a riunire tante parti diverse arrivando infine a configurare un insieme, quindi, sempre dalla parte al tutto e mai viceversa.
Ritengo, da questo punto di vista, che il dipinto sia una vera e propria costruzione che Lisa sviluppa con notevole impegno e che viene da una base di esercizio continuo e dall’abitudine a fissare i propri pensieri, le proprie fantasie e i propri stati d’animo attraverso disegni e scritti. Tale costruzione si giova della ripetitività (che troviamo nei disegni di Lisa tra i 5 e i 12 anni) di un elemento o di un grafismo, che può condurre a un segno stereotipato (a metà strada tra il singolo segno iterato e la scrittura), o alla semplice configurazione di un fiore o di un pesce, giuocando anche sulla iterazione cromatica.3

Lisa Perini, disegno di età infantile, primi anni ’80

Più legata al processo percettivo è l’iperselettività, (particolarmente accentuata nei disegni di Lisa tra gli 8 e gli 11 anni)4 che porta a trascegliere una parte piuttosto che l’insieme, come ad esempio un singolo fiore che cresce seguendo varie configurazioni. L’ordine che viene dai numeri (e dall’apprendimento dell’aritmetica) negli stessi anni connette il ritmo alla quantità: il passaggio graduale da una spazialità contratta ad una nozione di estensione, che poi coinvolgerà anche il tempo.5

Fortunosamente i segni si contaminano tra di loro: si assembrano per gruppi differenziati – coinvolgendo anche i colori –, compaiono parole inventate come titoli inclusi nella composizione, vi sono analogie tra forme e le loro ibridazioni, tutti fattori che entreranno in giuoco in una fase ulteriore della maturazione grafica e pittorica di Lisa.6

Cose affini avvengono col linguaggio, quando Lisa scrive: «Luca […] è nello stesso tempo una mucca e anche una suca»,7 componendo un giuoco di parole fatto di ironia e fors’anche di spirito sornione.

Ma il disegno può configurarsi come una serie di gesti ripetuti che Lisa chiama «pensieri che mi commuovono»: uova che si rompono, che mostrano uno o più nuclei al loro interno; la chiara d’uovo, o altri segni fatti di forme semplicissime – e talora di sagome elementari – come fiori, tondi, case, girini, pesci, caramelle, cuscini, esagoni «fatti azzardando», nuvole, pioggia, gocce, occhi, stelle e altre forme che Lisa è andata elaborando tra i dieci e i quattordici anni come pensieri magici.8
Un magismo per il quale sembra necessario sperimentare il rapporto tra il segno e la cosa, tra l’immagine che può rappresentare la cosa e la cosa stessa; la possibilità di evocare pensieri anche astratti (forse una nozione di cosità in generale), ma anche di poter dare un’immagine quasi ‘minimalista’ alle cose che passano per la testa.

Fiore fatto di sesso maschile e femminile, 1994, pennarello e penna a sfera su carte, cm 14 x 20,3

Queste forme proliferano e in qualche modo si consolidano in segni ripetuti (dove l’iperselet-tività giuoca un ruolo importante) come in un interessante disegno a pennarello del 1994: Fiore fatto di sesso maschile e femminile, dove sembra configurarsi una sorta di forma emblematica della posizione dell’ovario supero del fiore o dell’ovario col suo stimma, mentre giuoca la fantasia che tale processo sia uguale o molto simile alla riproduzione umana9 e che in un essere femminile (forse non proprio un androgino, ma neanche un essere troppo differenziato) si riassumono i processi della generazione. La lunga e foltissima capigliatura che incornicia nella parte sinistra la figura femminile è un simbolo di fecondità e forse di pienezza. La dominante rosso-violacea del dipinto connota il plasma e s’intreccia col complementare verde e l’opposto blu-azzurro. Verrebbe da pensare alla presenza simbologica di almeno tre dei quattro elementi identificati da Empedocle: il fuoco, l’aria e l’acqua.

Fiori-seno (pretendo dalla mamma latte e miele), 1992, pennarelli su carta, cm 25 x 34

Un lavoro di due anni prima: Fiori-seno (pretendo dalla mamma latte e miele), pennarello su carta è tutto modulato sui rosati e sui viola chiari e scuri, configurando un vero e proprio giardino del desiderio, dalla suzione alla delibazione del cibo, ricco e stipato di fiori di vario genere, la cui struttura è per lo più affine a quella del tulipano. Numerosi fiori, a destra in basso del dipinto, somigliano a tettarelle simili a salvadanai; altri fiori, sulla parte sinistra, hanno forma di ghiande con il capezzolo ben evidenziato; non mancano le rose e qualche altro tipo di fiore.

Strani insetti si aggirano estraendo dai fiori le sostanze per produrre il miele, come le api, ma anche vespe e farfalle, molte delle quali sono dotate di due seni turgidi e carichi di latte. Tre figure grandi sembrano dominare la scena: in mezzo una ragazzina non troppo cresciuta e desiderante, il cui abito raffigura gli stessi fiori del ‘giardino’; sulla sinistra un’ambigua figura maschile: Fabrizio, dal cui abito decorato di api e vespe capiamo che ha una funzione più produttiva, forse legata al latte (si veda il gonnellino). Tra le due figure una piccola bambina come una bambolina (ma altre tre ve ne sono); a destra una figura femminile dall’ampia capigliatura riccioluta, anch’essa con una qualche funzione produttiva più legata al miele: basti vedere la gonna che, come un alveare, si articola in tanti piccoli favi. Del bestiario del ‘giardino’ fanno parte quattro elefantini ‘tartaruganti’, nel margine inferiore del dipinto: due sicuramente al maschile, e uno al femminile sulla destra, dai seni grandi e turgidi. Le bocche sorridenti, quasi estatiche, trasmettono una promessa di soddisfacimento, forse non priva di qualche timore.

Un esempio di una perfetta reversibilità tra figura e sfondo è in un pennarello su carta molto raffinato, rigorosamente rosso magenta (?) e bianco, con pochi tratti di nero della barba di Giampaolo – la figura maschile che evidentemente Lisa ha idealizzato –, se non fosse per lo stacco del contorno con una striscia bianca che delimita l’ampia capigliatura biondastra che lo isola, entro certi limiti, dallo sfondo.

Giampaolo, 1994, pennarelli su carta, cm 21 x 30

Le braccia, come in altri dipinti, sono incrociate dietro la schiena; la veste come in un giuoco di specchi sembra concentrare il moltiplicarsi di quadratini rossi e bianchi, in appezzamenti alternativi rispetto a una lunga teoria di cuori rossi, con tratti enumerativi che sembrano consentire una proliferazione controllata, che tuttavia potrebbe essere, sempre come in un giuoco di specchi, illimitatamente estensibile.

Altre volte lo sfondo prevale sulle figure sicché il rapporto si complica in quello tra l’interno e l’esterno, con un riscontro quasi immediato: ciò che sta fuori è anche dentro, e viceversa. Lo spazio mentale rischia di essere completamente saturo laddove persone, fiori, animali, ovuli si con-fondono. Ciò non significa che la formulazione pittorica non sia mirabile: in Alice la sintesi tra forme e colori raggiunge un notevole equilibrio, con un’esatta dosatura dei rosati e dei rossi violacei, dei blu, degli azzurri, dei verdi, dei gialli rispetto all’area cromatica che occupano nella composizione.

Alice, 1995, penarelli su carta, cm 15 x 20

Tre grandi fiori campanulacei azzurrini, in due varianti, con un enorme pistillo ciascuno, sembrano uscire dal ventre delle due adolescenti; un quarto fiore è poi ripetuto nello spazio tra le loro teste, a enfatizzarne la componente generativa che le lega (la parte sottostante del pistillo, non visibile, è infatti l’ovario del fiore). Nelle gonne delle due giovani e sullo sfondo proliferano innumerevoli ovuli, da cui potrebbero nascere le tre bambine raffigurate ai lati – due sono neonate, un’altra è più grandicella -, forse in analogia con la generazione e la nascita di piccoli affettuosi cagnetti domestici rossi e blu, con i loro cuccioli verdi, nel margine inferiore del foglio.

Con la stessa giustezza distributiva di forme e colori, in una versione che richiama un gusto secessionistico10, Mariateresa con gatta Babà è un dipinto su carta legato al proliferare di raffinate decorazioni: campiture di ovuli e di quadratini di rara ricchezza cromatica, che mostra un interno abitato da tre giovani ragazze e da sette cani dal pelo lungo rosato – vagamente leonini – che fanno pensare a curiose sfingi che si fronteggiano in coppia, i quali coesistono con una varietà di gatti seduti di differenti colori, ripresi da posizioni diverse. La composizione è completamente paratattica, tanto che ogni figura umana o animale sembra vivere in un proprio spazio, ben delimitato e individuato.

Michela, 1995, pennarelli su carta, cm 21 x 26

Una visione più esplosiva è nel dipinto Michela nel quale i morfèmi di origine vegetale – simili a barbabietole a radice carnosa –, come dei peponidi o delle cucurbitacee, in realtà paiono essere dei grandi ovuli rossi, blu, verdi e gialli, tutti dotati di una sorta di peduncolo-spermatozoo, e che riempiono completamente lo spazio fisico e psichico di Michela, la ragazza un po’ stordita che, nella fantasia della pittrice, sembra subire una complessa trasformazione. Le componenti minacciose delle concrescenze un po’ abnormi che dall’interno si esteriorizzano e tendono a dissolvere la stessa struttura spaziale della composizione, quasi arroventata e poi saturata11 da interstizi puntiformi – che in qualche modo la armonizzano – trovano la loro compensazione nell’esprimere compiutamente una particolare Stimmung mediante la straordinaria vitalità cromatica fauve del dipinto.

L’idea di un’interna crescita vegetale: fioritura degli alberi e fioritura interiore, rinnovamento di Sonia è in un dipinto a matite colorate e a penna a sfera, guardando questo foglio dovrei dire che Lisa coglie bene un aspetto della simbolica dell’albero. Ma insieme vediamo lo scotto di amori infranti pagato da Sonia nei due maschi crocifissi in mezzo agli alberi, dai corpi quasi ignudi cosparsi di fiori, i quali sembrerebbero solo due ‘ladroni’ rubacuori, personaggi traditori, dei quali Sonia trionfa dopo averli puniti. La crescita di Sonia si apparenta comunque perfettamente a quella arborea e floreale.

Sonia, 1995, penna a sfera e pastelli colorati su carta, cm 15 x 20

Ma se considerassimo certe identificazioni cristologiche dell’adolescenza e della giovinezza – non solo nei maschi – non è detto che questa lettura sia l’unica possibile: basti considerare il lembo sinistro della gonna di Sonia dove compare una piccola crocifissione al femminile – circondata da gattini forse non del tutto inoffensivi –, per la quale Sonia è dovuta in qualche misura passare, sicché il suo apparente trionfo presenta anche possibili aspetti sacrificali. Qui mi preme richiamare non solo la notevolissima e rara attitudine simbologica di Lisa, ma pure una capacità di narrazione pittorica che sembra aprirsi a diversi scenari. Lo spazio sembra una condensazione e un addensamento di quinte parallele, la cui scompaginazione potrebbe riservare delle sorprese.

Rito della sposa, 1996, pennarelli e pastelli su carta, cm 33 x 48

Forse è a partire da un soggetto che chiamerei Il rito della sposa, comprendente parecchi dipinti di Lisa12, che i volti tendono ad assumere fattezze più individuate e meno legate ad espressioni generiche e un po’ stereotipate13, cioè laddove agisce una necessaria differenziazione tra il maschile e il femminile, e un processo di empatia e di ricerca dell’alterità. In questa direzione non mi sembra decisivo il fatto che a Lisa questi dipinti siano stati commissionati, ponendo quindi il vincolo dell’evento rituale o liturgico che dev’essere ricordato. Vincolo che non limita né impedisce a Lisa di avvertire la connessione degli opposti, le ambivalenze, le attese e gli eventuali ‘germi’ di speranze deluse, che possono sussistere fin dall’inizio.

Vediamo per esempio il matrimonio di un militare in divisa che accompagna all’altare una sposa vestita di bianco, dalla capigliatura blu riccioluta, che tiene con la mano sinistra un piccolo buquet di rose gialle14. L’abito della sposa è costellato nel busto e nel bacino di rose disegnate, un fiore che è simbolo dell’amore e della rigenerazione, ma allude anche alla ricettività femminile. Il fondo su cui si stagliano le due figure è caratterizzato da decine di cuori rossi, verdi, blu, viola e arancio. Ma i cuori15 sono per Lisa anche dei frutti sui quali Ma i cuori sono per Lisa anche dei frutti sui quali spuntano i germogli dei fiori, come doni e poi infine come ulteriori frutti dell’unione, che cresceranno in seguito.

Due figure un po’ ambivalenti accompagnano e sembrano aleggiare sopra gli sposi, quasi proteggendoli, l’una femminile, verde, l’altra maschile, blu; sotto i piedi di quest’ultima un organo maschile – che si apparenta ai cuori verdi – come simbolo di fecondazione che si riallaccia al mondo vegetale e si diparte dall’abito della sposa dirigendosi verso lo sposo.

Sposi Giapponesi, 1996, tecnica mista su carta, cm 30 x 42

In un altro dipinto dedicato al rito matrimoniale, intitolato Sposi Giapponesi, la posizione degli sposi è rovesciata: molto ampio è l’abito della sposa, con il bellissimo buquet di rose che tiene con la mano sinistra, mentre lo sposo è in abito borghese; entrambi ci guardano intensamente. Lo sfondo sembra più organizzato, anche sul piano decorativo, ed è anch’esso costellato di cuori, con un’analoga configurazione al dipinto precedente, ma sono per lo più bianchi, contornati di viola o di blu, secondo la stessa contrapposizione femminile o maschile. Altri cuori sono verdi, azzurri o color terra di siena naturale, come varie composizioni floreali concentriche (simili a pigne di abete bianco, quando si aprono).

Due figure femminili in basso, l’una a sinistra dello sposo è piangente (veste e capigliatura color terra di siena); l’altra a fianco della sposa è vestita di bianco, anch’essa con una lunga capigliatura, in questo caso blu scuro, appare felice e tiene tra le braccia un buquet color ocra. Su queste due figure sono modellate una serie di piccole anime con la testa a forma di cuore, senza volto, come degli esseri che attendono di nascere o che sono già virtualmente presenti16 al rito.

Sposi di S. Hubert, 1996, tecnica mista su carta, cm 33 x 48

Ho scelto queste due immagini del Rito della sposa, ma vi sono altri dipinti dello stesso tema, non meno interessanti qualitativamente, come Sposi di S. Hubert, 1996, mista su carta (cm 33 x 48); Sposa Giapponese in rosso, 1996, acrilico su carta (cm 33 x 48); Sposi in bianco, 1997, matita e pennarello su carta (cm 33 x 48); Manolo e Daniela sposi, 1998, acrilico su carta incollata su tavola (cm 33 x 48), simbologicamente non meno ricchi e artisticamente significativi, opere che meritano la stessa attenzione.

4. “In principio era il rosso”. Gli sviluppi della pittura di Lisa

Quando Lisa comincia a frequentare l’Accademia, come si è detto, entra già con un’esperienza pittorica ben definita, che in linea di massima è quella che sono andato esponendo fin qui – scegliendo taluni aspetti del suo lavoro – che dimostrano quanto la studentessa fosse già addentro nella pittura, non certo identificabile come un semplice ‘fare’, che ritiene di reggersi entro una ‘pratica’ e un’operatività magari povera di idee, come spesso accade17, ma presenta già un immaginario ricco e composito, innervato su alcune modalità estetiche e categoriali del pensiero. Alludo precisamente a quelle dimensioni cognitive che, quasi sempre, soltanto l’arte è in grado di mettere a fuoco.

Lo sforzo consapevole di afferrare quegli aspetti della visione che segnano per Lisa l’esigenza di dare una propria fisionomia alle cose, non solo e non tanto come «rappresentazione», ma come elaborazione di immagini che pongono in forma rinnovata la necessaria coesistenza tra il reale – per quel tanto di «oggettivo» che in esso è ineschivabile – e l’immaginario, inteso nel suo risvolto «irrealizzante» che, per la nostra pittrice, è una creativa attitudine a non rimuovere tale componente – come accade invece in altre esperienze artistiche –, ma lasciando, anzi, trasparire quel ricco «fondo» fantastico, sovente vicino a connotazioni visionarie.

È come se il reale per Lisa, trasformandosi in visione, esigesse un continuo processo di costruzione e di consolidamento del mondo18, mostrando così una dimensione sempre aperta, disponibile all’invenzione e agli spunti poetici del reale medesimo, dove l’immagine – pur consolidando i propri morfèmi – non si cristallizza in una codificazione figurativa più o meno sistematizzata, ma avverte con sempre maggiore urgenza – negli ultimi sei-sette anni – l’esigenza di un approccio vieppiù rinnovato.

Ciò vale naturalmente per tutti i soggetti affrontati da Lisa nella sua pittura e successivamente anche per le esperienze non strettamente pittoriche come la fotografia e l’installazione. Se prendessimo le nature morte di Lisa dal 1999 ad oggi, ci accorgeremmo del fatto che l’apparenza fenomenica subisce uno straordinario viraggio nella sua pittura.

San Martino, 2000, acrilico e smalto su tela, cm 100 x 120

Prendiamo ad esempio due tele del 2000: Zucche con vaso rosso, tecnica mista, cm 100×120, 1996 oppure San Martino, acrilico e smalto su tela, cm 100×120: nel primo dipinto le zucche diventano arancio e blu, nel secondo diventano rosse: la loro intensificazione cromatica si accompagna ad un vero e proprio viraggio che salvaguarda l’oggetto stesso da un’insignificante rappresentazione naturalistica, per cui le zucche assumono nella pittura di Lisa una connotazione direttamente riferibile alla sua esperienza, cioè alla risonanza della cosa che, in termini pittorici, è pienamente ostentata, come ogni altro oggetto raffigurato in queste nature morte. Qui il contatto con le cose è amplificato da un blu profondo (nel quale un minuscolo cavaliere, dall’ampio mantello, monta uno strano cavallo e si allontana al galoppo…) mentre nel piano d’appoggio degli oggetti, un po’ fluttuante, si depositano fiori, foglie, frutta fresca e secca, cioè i prodotti tardivi dell’autunno.

Natura morta con la zucca di Olimpia, 2004, olio su tela, cm 100 x 100

Quattro anni dopo troviamo una maturazione ulteriore in numerosi dipinti, come nella Natura morta con la zucca di Olimpia, olio su tela cm 100×100, dove la cucurbitacea, la brocca, il leggìo, il grappolo d’uva assumono un fulgore e una vitalità insolite, e ogni colore ha un ‘suono’ diverso e sembra emanare direttamente da ogni singolo oggetto, accordandosi nel contempo con l’intensissimo fondo rosso, creando un ‘dialogo’ alla pari per intensità di cromie. Ne I fiori di Parigi, olio su tela cm 80×80 vi è un’analoga maestria nel riferimento all’oggetto (il vaso con i fiori) che libera il colore, salvaguardando a sua volta la straordinaria flagranza di una ‘natura viva’.

I fiori di Parigi, 2004, olio su tela, cm 100 x 100

L’idea che si fa strada nella pittura di Lisa in queste e altre opere coeve è di costruire il dipinto col colore timbrico, di ascendenza fauve, dove il rosso diventa il colore elettivo per eccellenza, assumendo una valenza strutturale, una sorta di funzione portante. Spesso nei suoi dipinti, come abbiamo visto, compare il cinabro che, assieme ad altre gradazioni del rosso – dal magenta, al vermiglio, alla lacca di garanza, al carminio –, ha una sua straordinaria ricchezza simbologica. Tale dominanza del rosso non è riducibile alla monocromia, ma mantiene in ogni occasione una notevole variabilità di decantazioni, sempre portatrici di molteplici e potenziali virtualità di significazione.

Acquario, 1996-1997, tecnica mista su tela, cm 100 x 100

Vediamone alcuni esempi. In Acquario del 1996-97, una tecnica mista su tela cm 100×100 , il rosso non è un puro sfondo, ma acquista una vera e propria trasparenza rispetto alla miriade di esseri viventi che lo ‘popolano’: è evidente quindi la valenza acquea di questo fondo che non è appunto uno sfondo, ma fa parte della ‘figura’ in quanto diventa l’elemento stesso che rende possibile la vita degli esseri che lo abitano. Una certa opacità materiologica di organismi e microrganismi non contrasta con la percezione e l’idea di trasparenza di un acquario che, rispetto al riguardante, è uno sguardo attraverso l’elemento liquido.

Tappeto floreale, 2003, olio su tela, cm 110 x 160

Il Tappeto floreale del 2003 (olio su tela, cm 110 x 160) è quasi un rosso su rosso, dove la vitalità della natura appare immessa in una “rossitudine”19 di cui è difficile pensarne ed esperirne l’intensificazione pittorica, piuttosto che l’attenuazione.

Rosso, 2004, tecnica mista su tela, cm 80 x 90

Rosso è del 2004, una tecnica mista su tela (cm 80 x 90) la cui tissularità è caratterizzata da percorsi curvilinei zigzaganti, ottenuti spremendo direttamente il tubetto, per muovere la superficie del dipinto rendendola accidentata e vitale ad un tempo, intervallata da pezzi di catarifrangenti d’automobili (piccoli incidenti, i cui residui sono stati prontamente recepiti e prelevati da Lisa), minuscole bolle di vetro, pezzetti di lattine, stagnole di caramelle accartocciate e altri piccoli scarti oggettuali, a costituire una trama fatta di volute smagliature e aritmie entro un ‘ordine’ che sembra comporsi e ricomporsi passando dalla parte al tutto e viceversa.

Inno alla natura n. 1, 2004-2005, olio su tela, cm 110 x 160

Più organizzato appare l’Inno alla natura n. 1, del 2004-2005 (olio su tela, cm 110 x 160) dal cui ‘liquido’ rosso trae origine la matericità delle forme viventi, come i fiori bianchi e rossicci che paiono spuntare su un acquitrinio il quale, al tempo stesso, fa pensare a una temperatura corporea tale da favorire la nascita di un bimbo, che si affaccia nel margine superiore sinistro del quadro. Tematicamente affine è Oskar – sogno di una natura incontaminata, un dittico verticale che risale al 2001, olio su tavola cm 170 x 70, che mostra uno squarcio di paesaggio immerso nel rosso, dove le figure fluttuano tra cielo e terra.

Oskar – sogno di una natura incontaminata, 2001, dittico a olio su tavola, cm 170 x 70

Lo dice benissimo Lisa in Rossi pensieri poetici:

[…] Noi stessi viviamo per terra, sul fondo del cielo rosso e il nostro corpo contiene a sua volta il sangue che è rosso e che, seguendo la fantasia, potrebbe essere il mare rosso interno che ci appartiene. Quando una donna o una gatta o una cagna o altre femmine di animali sono incinte hanno il proprio figlio che nuota nell’acqua rossa all’interno del loro corpo. Noi abbiamo dunque il nostro oceano rosso dentro al corpo.20

E’ un’immagine del sangue, del plasma, del pulsare della vita, che è sicuramente una dimensione originaria dell’immaginario la quale consente di accedere al fantastico e di intenzionare e connotare pienamente il processo pittorico.

La pervasività del plasma e della “rubedo” la troviamo in molti soggetti di Lisa come Rocky con gatto, 1999 (tecnica mista su tela cm 100×100)21, come Cavallo a tre teste, dello stesso anno (tecnica mista su tela cm 70×90)22; nei paesaggi come S. Giorgio 2000 (acquerello su carta, cm 50×70)23, come Patagonia, ottobre 2000 (acquerello su carta, cm 50×71)24, nei quali il cielo stesso è rosso.

La presa diretta di certi nudi femminili e maschili dipinti da Lisa dal 1999 al 2001 presentano per lo più la stessa “rossitudine” di altre tematiche sviluppate dalla pittrice: si veda il corpo di Monia con Caterina, 2000 (acrilico su tela, cm 100×150) la quale compare distesa su un sofà di color giallo cadmio, con qualche accenno floreale, consentendo a Lisa di creare un fulgido accordo cromatico rosso – giallo – arancio – carminio scuro, che ne esalta la bellezza.

Stefania incinta, 2001, olio su tela, cm 150 x 100

Un altro dipinto come Stefania incinta, 2001 (olio su tela, cm 150×100), ha la dominante rosso Magenta del corpo nudo e dello sfondo; la giovane donna sta seduta su una sorta di divano dalla fodera verde scuro coi grandi fiori rossi stampati. Stefania ha lo sguardo sereno di chi è contenta di generare un figlio; nel suo ventre gravido Lisa ha delineato il bimbo in trasparenza, nella posizione normale di un parto assai prossimo. I capelli blu violaceo di Stefania creano il gioco del complementare giallo del cuscino, contribuendo alla perfetta armonizzazione cromatica della composizione.

Più contrastanti sono invece le tonalità di Cindy incinta, 2001 (tecnica mista su tela, cm 150 x 100) il cui corpo è blu scuro, in perfetta opposizione col rosso quasi infuocato dei capelli e degli altri accenni all’ambiente che, quasi come un’enorme placenta, sembra proteggere Cindy. Dei tre nudi quest’ultimo è sicuramente il più espressionistico, dove la pulsionalità dell’eros è meno smorzata25, sebbene Lisa abbia adottato questa opzione per nudi femminili di persone che, in attesa di un bimbo, hanno posato per lei.

Nella nostra pittrice non vi è un ripiego rispetto al reale, ma nei suoi dipinti vi è il tentativo di far coesistere l’interno con l’esterno: ciò che tutti vediamo – mediante una complessa elaborazione mentale – per la nostra pittrice diventa un percetto26 che, nel dipinto, sembra coincidere con il ‘vitale’.

Il vitale coesiste in Lisa con ogni tipo di ‘rappresentazione’ entro una dinamica emozionale che mantiene tutta la sua intensità, investendo continuamente il visibile in una metamorfosi che coinvolge necessariamente il non visibile. La pittrice sa accostare sempre il vicino con il lontano, ciò che appare nella prossimità di un luogo con ciò che esso suscita, basti pensare a certi paesaggi degli ultimi anni27.

Il reale, il vissuto e l’immaginario coesistono appunto con il fantastico. Ipotizzerei che questa coesistenza abbia a che fare con la l’esigenza primaria di rendere abitabile il reale (Heimlich), di elaborarne una ‘riscrittura’, accentuando ogni virtualità metamorfica. È probabile che tale processo sia centrale non soltanto rispetto al comportamento adattivo verso gli altri e il mondo tra ciò che è perturbante (non familiare)28 e ciò che è familiare29 (o è diventato tale), ma piuttosto per continuare a vivere ciò che Lisa Perini ritiene fondamentale:

La trepidazione di fronte alla realtà, una sensazione fresca, sempre nuova, come se fosse tutto per la prima volta. Questo è ciò che io chiamo poesia. La mia pittura, in ultima analisi, vuol essere questo: una riscoperta poetica del mondo30.

Credo che tale pensiero di Lisa corrisponda al suo progetto di vita, detto da lei come meglio non si potrebbe.

Giorgio Nonveiller
© riproduzione riservata

Lisa con l’opera San Marco, 2017, davanti al suo atelier “Studio Martini” in via Cornarotta, Treviso

 

ATTRAVERSAMENTI: ESPERIENZE EXTRAPITTORICHE NELLA FORMAZIONE ACCADEMICA DI LISA *

di Luigi Viola

PREMESSA

Il rapporto di Lisa Perini con la pittura è tra i più vitali, prolifici, densi di verità che mi sia stato dato di conoscere, un rapporto di piena reciprocità nel quale la pittura ha dato a Lisa una possibilità straordinaria di raccontare la propria anima e l’esperienza del proprio rapporto con il mondo mentre nel contempo Lisa ha dato ella stessa alla pittura una chance in più di potersi ancora oggi manifestare come luogo di una necessità ineludibile, dunque come atto fondativo di una specifica realtà che proprio attraverso la pittura prende forma e si fa mondo e non come semplice riverberarsi del mondo stesso.

In questo approccio si rivela l’essenza liberatoria del fare arte, per Lisa come per tutti gli artisti autentici, laddove si mettono in gioco le relazioni tra le cose e tra noi e le cose nel processo di continua decostruzione e ricostruzione del reale di cui i linguaggi dell’arte divengono viva testimonianza.

La radicale apertura presupposta in un tale atteggiamento ha condotto Lisa non solo ad accentuare in profondità l’esperienza della pittura in sé, orientata nelle sue matrici verso una espressività di ascendenza fauvista di grande liricità, che conserva perciò una notevole centralità, ma a sperimentare varie altre modalità e mezzi di espressione, dall’installazione ambientale al mosaico, dalla fotografia alla plastica, dal disegno al computer, all’impiego di nuovi materiali.

Su alcune di queste sperimentazioni vorrei soffermarmi.

LE INSTALLAZIONI

Il desiderio di misurarsi con un progetto installativo è nato in Lisa nel 2003 quasi spontaneamente, se intendiamo con ciò dire senza alcun diretto invito da parte mia.

La sollecitazione però c’era stata – seppure indirettamente – ma era venuta fuori da sola, maieuticamente, perché Lisa guardava al lavoro dei suoi compagni con interesse, intelligenza critica e volontà di misurarsi.

Un lungo lavoro di progettazione è stato necessario per sviluppare la prima ideazione e poter infine giungere alla realizzazione di Aglaia, presentata nell’ambito dell’esposizione E Pluribus, da me curata in collaborazione con Fabrizio Gazzarri.

Ho visto che in Accademia i miei compagni hanno fatto delle installazioni e anche io ho desiderato farne una con le perle rosse e un albero di barca spezzato. Ho iniziato quel lavoro prima che l’albero della barca a vela si rompesse accidentalmente. Ho pensato inizialmente di poter creare un’opera con tante perle rosse. Successivamente sono andata a fare un giro in barca con i miei genitori e alcuni amici e si è verificato che quel pezzo di legno svettante si sia rotto rovinando sopra la barca vicino a me. Quando l’ho visto cadere in quel modo l’ho trovato interessante da assemblare con le perle rosse infilate e ho avuto l’idea di colorarlo di oro.

Sono state lasciate però delle piccole zone sull’albero dove si vede il colore originario del legno. Ho pensato che l’albero della barca dipinto di oro e tutte le mie perle potevano creare un bellissimo accostamento di oro e rosso e una interessante composizione. Il Professor Viola mi ha consigliato di trattare l’albero con la foglia d’oro e io ho seguito il suo consiglio.1

Non si trattava di una fantasia provvisoria, dettata da una volontà di imitazione destinata ad esaurirsi con quell’intervento, ma di una autentica necessità poetica e di un bisogno linguistico reale, come dimostrano il secondo progetto installativo del 2004 e l’ultima recente realizzazione del 2005 realizzata nell’ambito del corso di Installazioni multimediali tenuto dalla professoressa Anna Sostero.

In ordine alla natura del fare installativo, spesso legato, nel lavoro di alcuni artisti, ad un elemento di palese caducità e provvisorietà, nella consapevolezza di una durata dell’opera talvolta limitata a quella dell’evento, Lisa pensa invece ad una dimensione destinale dell’opera, ad un futuro che va oltre l’immediatezza, a qualcosa che deve durare nel tempo e che può tuttavia nel tempo trovare altri sviluppi, altre letture, altri arricchimenti.

Per me è molto importante che i lavori possano conservarsi nel tempo e questo vale anche per le installazioni, come quella che ho realizzato due anni fa nell’Aula 2 dell’Accademia in occasione della mostra E Pluribus, utilizzando l’albero della Aglaia, la barca a vela del mio amico Giorgio Galletti.

Forse in futuro modificherò qualcosa, aggiungerò altri fili di perle e un altro legno, lungo come l’albero della Aglaia.

L’albero della Aglaia sembra fatto di uovo sbattuto o di tiramisù e le perle sembrano il caffè che l’accompagna. I succhiotti (che ho appeso ai fili di perle) mi ricordano per certi versi i pesci e le meduse.
Mi sono divertita quando sono andata a cercare le perle rosse a Murano, a Venezia e a Treviso.
Ci sono dei vetri di Murano che sembrano delle meduse, mentre le meduse che ho visto nel mare di Jesolo e a Punta Sabbioni mi ricordano i vetri di Murano.
Io sogno che nella mia installazione – che voglio fare tutta rossa – nuotino meduse, pesci ed altri animali marini.
Non intendo assolutamente rappresentare la guerra e la violenza nelle mie installazioni e nei miei quadri sebbene abbiano tanto rosso che sembra sangue, intendo bensì raffigurare una natura da me idealizzata e l’armonia nel mondo tra persone e animali.
Il rosso che uso nelle mie opere è una metafora dell’utero materno.2  

Aglaia, 2003, installazione, legno, foglia d’oro, perle vitree, materiali vari, h. cm 600. Mostra: E Pluribus, aula 2, Accademia di Belle Arti, Venezia

Vorrei sottolineare solo alcuni essenziali aspetti del lavoro indicati nella lettura che Lisa stessa ne dà.

Innanzitutto il concetto di work in progress implicito nelle notazioni di Lisa è uno degli aspetti più significativi di un modo contemporaneo di intendere l’opera che ne sottolinea il carattere processuale, l’idea di non finito o di continuo divenire che caratterizza anche lo Zeitgeist dei nostri giorni.

L’opera viene insomma pensata non come perfetta ma come perfettibile, sempre in sintonia con il travaglio del tempo, con il mutamento e la trasformazione che regolano la vita delle creature. In secondo luogo la presenza di una visione dominata dalla fluidità metamorfica del reale ove si dà la possibilità dello scambio, l’inganno della vista, l’apparente paradosso, ci sono infatti vetri che sembrano meduse e meduse che sembrano vetri.

Infine l’operatività concreta del principio che possiamo chiamare dell’osservazione trasognata3, facendo riferimento all’espressione da me usata intorno alla metà degli anni ’70 per indicare la condizione privilegiata in cui tende a manifestarsi il moto creativo, una particolare forma di rêverie4 che presiede al sognare dell’artista. Il secondo progetto di installazione del 2004 è stato realizzato in concomitanza con il corso di Progettazione Artistica, tenuto da me e da Fabrizio Gazzarri parallelamente al corso fondamentale di Pittura.
In questo caso non veniva richiesta necessariamente la realizzazione finale dell’opera, puntando a svilupparne piuttosto gli aspetti tipicamente progettuali.
La maquette e i disegni presentati poi da parte di Lisa anche in occasione della tesi evidenziano una ulteriore messa a fuoco formale dell’idea e una puntualizzazione dell’intento poetico.

Quella che voglio fare è un’opera. Voglio esprimere in essa il mio essere artista e ho deciso che sarà tutta di oggetti rossi trovati o comprati: pezzi di catarifrangenti, pezzi di vetro, perle infilate, filo di nylon tinto di rosso, carta rossa trasparente, involucri di caramelle rossi trasparenti. Dev’essere un’opera che si possa guardare girandoci intorno, perciò tridimensionale, bella e grande. Desidero che si possa conservare nel tempo ed anche riproporre in altri luoghi.
Una parte dell’opera dovrà sostenere le parti più piccole. La parte portante deve essere assolutamente rossa e di un rosso che piace a me, come tutto il resto. L’opera potrà esprimere molte idee. Le trasparenze del rosso rappresentano l’acqua di un colore rosso come nella mia fantasia e nello stesso tempo il sangue che è energia vitale, pensandolo solo nell’aspetto positivo.
Potrebbero rappresentare anche il fuoco. La scelta del materiale da applicare, anche se non sempre trasparente, si basa sulle tonalità dei rossi da me preferiti. I rossi trasparenti brillanti mi fanno immaginare i mari e gli oceani che nella mia concezione sono rossi, nei quali io posso fantasticamente nuotare tra pesci e balene e altri animali marini che stanno nelle profondità.
Io amo le opere di grandi dimensioni, sto pensando alla struttura di sostegno che potrebbe essere in ferro a forma di albero, fatto secondo la mia inventiva e dipinto di rosso o di altro materiale idoneo (struttura di ferro, tondini modellati, reti metalliche sagomate, etc.).
Vorrei realizzare un’opera con forme ondulate e a spirale (riccioli).
A queste forme appenderò i miei oggetti trovati e comprati.
Potrei realizzarle tagliando una rete metallica che naturalmente poi dipingerò di rosso.
La rete però sarebbe troppo elastica. Per questo motivo nella parte superiore potrei fissarla ad un filo di ferro cotto abbastanza grosso. Il filo va tenuto sospeso con altri fili di acciaio al soffitto.

L’opera che desidero fare è composta di materiali che sembrano essere cibo e proteine.
Voglio includere anche un mosaico di pezzi di vetro e di catarifrangenti.
Sono davvero pignola e nella mia installazione voglio e pretendo che si veda solo il rosso, possibilmente intenso e brillante.

Non ci deve essere dunque un rosso tendente al rosa perché mi darebbe fastidio, lo troverei un difetto e siccome appunto pretendo che nella mia opera si veda in modo assoluto solo il rosso, anche per questo cerco una colla massimamente trasparente.

Fantastico di tuffarmi dentro il ventre della mia installazione rossa e di trasformarmi in un pesce, in una sirena o in un animale marino e di nuotare nella profondità della mia opera.5 

Progetto di installazione, 2004, maquette in scala 1:10 dell’Aula 2, Accademia di Belle Arti, Venezia

C’è qui la volontà di affermare con piena consapevolezza la propria identità artistica fondata sul convincimento che per l’artista il proprio fare è cibo e proteina. C’è il desiderio di una grandezza dell’opera, una concezione di grandiosità che corrisponde peraltro all’autostima che l’artista ripone nel suo lavoro, umile ma pignolo – come direbbe Lisa – e necessario, ovvero privo di compromessi, fondato sulla pretesa di una realizzazione priva di difetti, absoluta, sciolta cioè da ogni vincolo che non sia esclusivamente dettato dal bisogno interiore dell’artista.

Un’opera dai molti significati possibili, altamente metaforica, in grado di parlare tutte le lingue e sotto tutti i cieli. Un’opera maestosa sostenuta dalla perfezione del rosso, capace di stimolare ed attivare la nostra energia desiderante.

L’IMMAGINE IMMATERIALE

Le opere realizzate da Lisa utilizzando il computer sono per certi versi esemplari di come io stesso intenda la relazione tra l’arte e le tecnologie avanzate, un rapporto non di subordinazione ma di sfida costante.

Diversamente da altri studenti che utilizzano per i loro lavori sofisticati software grafici Lisa ha realizzato al computer centinaia di lavori, molti dei quali presentano numerose varianti, utilizzando un programma per il ritocco fotografico diffusissimo e moderatamente semplice, senza ricorrere all’uso di plugins grafiche e senza il sussidio di penne ottiche, tavolette od altri strumenti speciali per il disegno, realizzato in questo caso a mano libera con il mouse.

Questo aspetto poveristico, quasi artigianale e primitivo del fare che si basa per un certo verso sul ribaltamento e il depotenziamento delle possibilità insite nella tecnologia, pur non rifiutando la novità del linguaggio che essa prospetta, è – a mio avviso – una delle questioni più interessanti che si propongono al fare degli artisti. 

Le tecnologie hanno coinvolto gli artisti stimolando la loro creatività a procedere verso nuove forme della comunicazione estetica.

Al contempo hanno posto il problema – è inutile negarlo – di come l’artista possa conservare la propria libertà di scelta, la propria autonomia espressiva e di linguaggio nel momento in cui le caratteristiche del mezzo appaiono tali da predeterminare e forzare l’esito dell’esperienza.

Intendo riferirmi per esempio alla produzione di software e plugins per programmi grafici in grado di realizzare una vasta gamma di effetti preconfezionati e ormai a tal punto generalizzati nell’uso comune da risultare pienamente riconoscibili nella loro conformistica artificialità ed altrettanto spesso strumenti di standardizzazione, imbarbarimento e volgarizzazione dell’immagine.

Di fronte a ciò un atteggiamento possibile è quello del boicottaggio tecnologico attraverso gesti e scelte indirizzati ad operazioni di sottrazione e riduzione, a reintrodurre quozienti di inefficienza e di imponderabilità nell’immagine tecnologica.

Per altro verso è possibile tentare di far esplodere la retorica del mezzo attraverso una superconoscenza tecnica e un tipo di ultrapadronanza del medesimo che renda lucente, assolutamente brillante e irreale la sua perturbante performance.

Lisa ha scelto la prima strada. Credo l’abbia convinta ad avvicinarsi al computer l’attrazione magica esercitata dalla luminosità del colore resa dal monitor, oltre ai miei inviti a provare nuovi tipi di rosso.

I colori dello schermo, la gamma dei colori RGB, sono cosa ben diversa dai colori della stampa o della pittura, quanto a luminosità e trasparenza. La questione si pone quando si deve trasferirli fuori dal monitor.

Questo ha condotto Lisa a sperimentare numerose tecniche di riproduzione dell’immagine virtuale, assai diffuse oggi tra gli artisti, dal plotteraggio, ai vari altri tipi di stampa digitale, senza trascurare i diversi supporti.

Un supporto che si è rivelato particolarmente corrispondente alle esigenze espresse da Lisa di avere un’immagine il più possibile trasparente e vicina alla sua origine luminosa è stato quello della stampa digitale su plexiglas e ancor più la creazione di vere e proprie lightbox, un modo per illuminare adeguatamente i lavori rendendoli assolutamente brillanti e quasi immateriali.

Nei disegni digitali Lisa ha ripreso soprattutto temi paesaggistici e floreali, realizzando opere di notevole interesse tra cui una serie di varianti di San Marco (e del Duomo di Treviso) di grande suggestione, osando toccare un’immagine rischiosamente stereotipata e da cartolina con grazia e amore, con quell’intensità di sentimento che solo chi conosce davvero Venezia può possedere.

Ma vi è anche tra essi un Ospedale rosso del 2002 che ancora una volta ci riporta attraverso la simbolica del rosso alle radici di uno sguardo doloroso e pietoso sull’umanità sofferente.

Il rosso è qui il colore dell’afflizione ma è anche il colore del soccorso, della partecipazione attiva alla cura, è quel fluido che ci rende donatori e sostanza l’uno dell’altro, energie vitali che si espandono e si infiltrano, è come una rossa croce di Beuys.

Ospedale rosso, 2002, disegno digitale

LA FOTOGRAFIA

La prima opera fotografica di Lisa è apparsa in Aula 2 – se ben ricordo – nel 2000 e si trattava di una serie di ritratti in polaroid a formare sulla parete bianca dell’aula una piccola installazione.

Tale realizzazione era parallela ai ritratti che Lisa stava facendo in pittura ed io e Fabrizio le avevamo chiesto – come facevamo del resto con tutti gli studenti – di provare a sperimentare anche altre possibilità espressive, ad esempio la fotografia, un mezzo per lei ancora nuovo, almeno dal punto di vista dell’intento artistico, anche se in grande voga presso gli artisti contemporanei.

Molti altri nostri studenti usavano comunemente il mezzo fotografico per i loro lavori, che venivano poi esposti in aula e a Lisa non dovette sembrare una richiesta strana la nostra, in qualche modo anzi forse se l’aspettava visto che non tardò a munirsi dello strumento adeguato e a produrre le prime immagini, approfondendo altresì progressivamente il rapporto con la fotografia dal punto di vista tecnico e formale, avvalendosi a tal fine in modo significativo dell’insegnamento del professor Guido Cecere.

Credo pertanto di conoscere solo parzialmente questo specifico percorso, ma per quanto ne so e per quanto ha fatto parte della mia diretta esperienza, Lisa ha scelto di realizzare dei lavori fotografici in cui vi fosse la possibilità di un controllo immediato o almeno ravvicinato del risultato, in cui si potesse visualizzare subito l’immagine fermata nello scatto in quella certa condizione di luce e in quel particolare luogo, esattamente come se l’urgenza di fermare un colore, un segno, una forma e subito disporne fosse prevalente sui tempi rallentati dello sviluppo e della stampa, sul tempo della memoria.

Un tempo che deve invece trapassare subito e corrispondere in toto a quello dell’evento, come succede in pittura quando un segno o un colore si depositano sulla superficie con immediatezza facendosi insieme memoria ed evento.

Per questo Lisa ha usato dapprima la tecnica polaroid e poi quella digitale e anche in questo caso le tecnologie hanno potuto corrispondere ad un suo atteggiamento poetico senza dettare regole dispotiche.

Il forte legame tra la fotografia e la pittura o altre tecniche artistiche come il mosaico è sottolineato da Lisa stessa.

Ho fatto anche dei ritratti fotografici dei compagni e dei miei amici e ho cercato di fare anche quelli con colori vivaci. Nella fotografia però la situazione è diversa; mentre infatti nella pittura uso direttamente i colori che penso, nella fotografia ho ritratto delle persone che ho trovato interessanti perché erano vestite con colori che piacciono a me.

Inoltre ho fotografato i vari soggetti scegliendo uno sfondo che non disturbi.

Ho fatto il ritratto fotografico di una bambola e l’ho fotografata a pezzi per poi ottenere un effetto simile al mosaico. 

Bambola, 2004, fotografia digitale

Ho fatto anche tante fotografie delle maschere di carnevale con i miei colori preferiti.

Tutte queste foto di maschere o di persone potrebbero essere installate insieme su una grande parete bianca e formare un unico racconto.6

Tuttavia nella fotografia Lisa ha dovuto trovare un modo diverso e proprio di esprimersi e poiché il colore appartiene in questo caso direttamente al soggetto ritratto, dipende dalla luce che lo avvolge, si relaziona ad uno sfondo che può risultare di disturbo o meno, si tratta di procedere in modo originale rispetto alla pittura pur cercando valori analoghi. Bisogna trovare nuove regole per un nuovo procedimento che deve portare dove vuole l’artista.

Un’immagine può essere spezzata e frammentata per raccontarsi attraverso le proprie parti, attraverso l’evidenza che ognuna di essa viene ad assumere in una sorta di effettivo primo piano, pur senza operare cambiamenti di scala, oppure ogni singola immagine apparentemente conclusa in sé può essere intesa come frammento di un unico grande racconto.

Un racconto che può durare quanto la vita.

Il ciclo di polaroid eseguite tra il 2001 e il 2002 conferma la persistenza dell’archetipo rosso nel lavoro di Lisa, qui con una funzione che chiamerei di contrassegno, di segnale di riconoscimento, di complice appartenenza ad un mondo e ad un contesto, ove il sottile gioco del mascheramento e – per opposto – del palesamento fa pensare al ritratto fotografico come alla cartina di tornasole di un enigmatico gioco di sguardi che rimandano – oltre la parvenza illusoria del volto, dei visi incorniciati da una luce che li modella scivolando sulla pelle per affondare spesso verso un fondo scuro – non ad una improbabile ricerca di identità, ma agli intrecci arcani di una verità difficilmente eludibile.

Viene insomma da chiedersi dove s-guardino quei fragili bimbi, quei professori non troppo arcigni e anch’essi ancora un poco bambini, quei giovani compagni di studio, parenti, amici.

E che cosa si celi non solo dentro ma dietro e davanti a sé, dietro e davanti il profilo del volto nell’attimo in cui la loro immagine si coagula e cristallizza nell’obiettivo, sotto lo sguardo di Lisa, a formare una ipotetica galleria di tipi umani. 

             Serie polaroid, 2002, misure variabili

In realtà, come dice Jean-Luc Nancy lo sguardo del ritratto non guarda nulla, e guarda il nulla.7

E ancora: Il ritratto è la nascita e la morte del soggetto, il quale non è altro che questo, nascita alla morte e morte alla nascita, o ancora infinito richiamo a sé.8

Dunque ciò che anche a noi veramente interessa cogliere nei ritratti di Lisa è innanzitutto questa funzione dello sguardo capace di ricondurci all’infinito richiamo a sé di cui parla il filosofo, cosicché mentre noi guardiamo l’immagine, essa ci ri-guarda e ci riguarda, mettendoci in rapporto al mondo e al significato radicale dell’esistenza.

*Il testo è tratto da un saggio più ampio, nel volume: Lisa Perini, Il dominio del rosso, a cura di Giorgio Nonveiller e Luigi Viola, Marsilio, Venezia, 2006.

 

Note

IL PERCORSO DI LISA PERINI ALL’ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VENEZIA
di Giorgio Nonveiller

1   Come nell’interpretazione che Pavel Florenskij ha dato delle icone greco-ortodosse entro una ricognizione della spazialità dell’arte occidentale. Cfr. Florenskij P., La prospettiva rovesciata e altri saggi, a cura di Nicoletta Misler, Roma, Casa del libro, 1984.
  Che J.G.T. Van Dalen definisce come dominanza nella percezione di elementi parziali rispetto a quelli d’insieme.
  Perini L., Damiani C., Emozioni di un artista, cit., vedi certi lavori dal 1979 al 1986 riprodotto nel capitolo 2. Ripetitvità / Repetitiveness.
4   Cfr. Ivi, per alcuni lavori selezionati degli anni tra il 1982 e il 1985, riprodotti nel capitolo 3. Iperselettività / Hyperselectivity.
5   Ivi, si vedano certi disegni di raggruppamenti di segni o di oggetti, alcuni rigorosamente numerati, come ad esempio 24 insetti, riprodotto assieme ad altri fogli nel capitolo 4. La regola nei numeri (avvio al cambiamento) / The rule in the numbers (toward de change).
6   Ivi, si vedano i disegni del capitolo 5. Contaminazioni di segni / Contaminations of the signs , ma anche il capitolo 10. Paesaggi/ Landcapes, delineati da Lisa tra i 7 e i 13 anni (1981-87).
7   In varie parlate venete suca sta per zucca. Cfr. Ivi, capitolo 6. Teoria della mente / The mind theory.
8   Ivi, capitolo 8b. Astrazioni e simboli. Simboli / Abstractions & Symbols. Symbols (tra il 1984 e il 1988).
9   Nei fiori delle piante angiosperme e in quelli delle piante spermatopsidi, il processo riproduttivo è praticamente androgino e nel primo raggruppamento è a volte unisessuale.
10 Da Klimt a Zecchin, per intenderci.
11  E fors’anche suturata.
12  Tra il 1996 e il 1998. Se ne vedano le riproduzioni di alcuni in: Lisa Perini, catalogo della mostra personale (Caerano di San Marco (TV), Villa Benzi Zecchini, maggio 2001), con scritti di M. Sernagiotto, L. Viola, C. Damiani e G. Nonveiller, Treviso, Grafiche Vianello, 2001, pp. 17-19.
13  Giustamente Carlo Damiani, riproduce le due opere che stiamo commentando nel capitolo 11.Gestalt del volto / The face gestalt, in un momento avanzato di maturazione di Lisa che poi sfocerà nei ritratti del 1998-99 e oltre. Cfr. Lisa Perini, Carlo Damiani, Emozioni di un’artista, cit.
14  Le rose gialle, come colore, alludono alla forza, alla gioventù, alla comunicazione col divino.
15  Verrebbe da pensare che nell’antico Egitto il vaso era il geroglifico del cuore, mentre per le religioni induiste il triangolo rovesciato è un simbolo Shatki, come parte femminile dell’essere, legato alle acque primordiali ( Cfr. Guénon R., Symboles fondamentaux de la Science Sacrée, Paris, 1962, p. 224.). Nel dipinto di Lisa i cuori blu paiono alludere allo spirito, desumibile dalla contrapposizione cromatica col rosso.
16  O è un’allusione alle anime dei trapassati che hanno preceduto gli sposi in un tempo anteriore?
17  Forse non è inutile ribadire come l’arte sia sempre un’inscindibile connessione tra teoria e pratica, e che il vero talento artistico (non una semplice abilità) ha a che fare con entrambe le polarità di questo nesso.
18  Come permanenza delle cose stesse.
19  O in termini latini la “rubedo”.
20  Lisa Perini, Il dominio del rosso. L’oltre del volto, Tesi di diploma accademico di Pittura, Accademia di Belle Arti di Venezia. Dipartimento di Pedagogia e Didattica dell’Arte. Relatore prof. Luigi Viola. Anno accademico 2003-2004, tomo I, p. 20.
21  Rocky è il cane di Lisa. Il dipinto è riprodotto nel catalogo della mostra personale tenuta da Lisa Perini a Caerano San Marco (TV), cit. a n. 42, p. 55.
22  Ivi, p. 59.
23  Ivi, p. 74.
24  Ivi, p. 75.
25  Si vedano invece Sabina con chitarra, 1999, acrilico su tela, cm 120×100, o Sabina con gatti, 1999, acrilico su tela, cm 150 x 100, riprodotti in: Ivi, pp. 86-87.
26  Nel senso di M. Merleau Ponty.
27  Vedi sopra e le note 53-54. A questi due paesaggi aggiungerei Banjole, estate 2002 (acquerello su carta, cm 55×75), riprodotto nel catalogo della mostra personale a Caerano San Marco (TV), 2001, cit., p. 76.
28  In tedesco Un-heimlich, nell’accezione freudiana..
29  In tedesco Heimlich.
30  Dallo scritto conclusivo in: Lisa Perini, Il dominio del rosso, cit., tomo II, p. 44.

ATTRAVERSAMENTI
di Luigi Viola

1    Lisa Perini, Il dominio del rosso, a cura di Giorgio Nonveiller e Luigi Viola, Marsilio, Venezia, 2006
2    ibidem
3    cfr. Luigi Viola, Catalogo Personale, Galleria del Cavallino, Venezia, 1977; Galleria Plusart, Venezia – Mestre, 1980
4    cfr. Gaston Bachelard, La poetica della rêverie, Dedalo Libri, Bari, 1972
5    Lisa Perini, op. cit.
6    ibidem
7    Jean-Luc Nancy, Le Regard du portrait, Paris, Galilée, 2000. Edizione italiana: Il ritratto e il suo sguardo, a cura di Raoul Kirchmayr, Milano, Raffaello Cortina, 2002
8    ibidem

 Foto di copertina«Lisa alla sua mostra “To Osor in concert 2017” – Sala del Comune di Ossero (Croazia)»

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